Ci hanno messo un po’ di tempo, ma adesso tutti puntano sui cartelloni sei per tre. Con effetti cinematografici mica male. Un grande western, dove i cowboy non sono ancora gay, tranne le apposite riserve. Piuttosto una trama alla Sergio Leone. Buoni, brutti e cattivi. È il film della campagna elettorale più dura e maligna, e nello stesso tempo più astratta e virtuale, che la storia ricordi. Campagna inutile per le terze file, le comparse che al tempo delle preferenze si scatenavano nei quartieri e nella provincia profonda, per un pugno di consensi, per qualche voto in più, di parenti, amici volonterosi, amici del bar indecisi ma non ostili. E campagna superflua anche per quelli in cima alla lista bloccata, che hanno la pratica certezza di essere eletti. Leader e co-protagonisti occhieggiano dai cartelloni. Gli effetti non sembrano speciali. O forse sì. Vediamo. Nel primo cartellone si contempla la luminosa figura di Gianfranco Fini. Il buono. Lo slogan dice: "L’Italia sicura". L’inquadratura però è venuta di sbieco, e il leader di An mostra una piega nelle labbra tutt’altro che rassicurante. Gli manca soltanto il cigarillo di Clint Eastwood (nessuna allusione alle canne e alla legge antidroga fatta passare per via olimpica). Sarà che lo incattivisce il pensiero di Domenico Fisichella, il professore cattedratico che ha ispirato la fondazione di An e in perfetto disaccordo con la politica costituzionale della Casa delle libertà si è posato come gentil farfalletta sui petali della Margherita. Cattivissimo, Fisichella a "Ballarò" è riuscito a trattare da mentecatto un povero caratterista leghista, sparandogli nella pancia i nomi di Benedetto Croce e di Henri Pirenne, con la faccia accademicamente omicida di chi all’occorrenza non avrebbe avuto remore a far fuoco in nome di Huizinga, Weber e Elias (con uno dei brutti, Fabrizio Cicchitto, che sogghignava accusandolo di vezzo baronale: ma Fisichella, imperturbabile, con una raffica di citazioni che avrebbe steso anche il buon samaritano dell’Occidente, cioè del West, il caritatevole e poetico frate Sandro Bondi). Fini ha fatto un colpo effettivamente gobbo arruolando l’avvocato Giulia Bongiorno, quella dell’«evvài» per l’assoluzione di Giulio Andreotti, il quale ha subito detto che voterà per la fanciulla del West. Ma ha il piombo nelle ali per via delle altre facce del suo partito: Francesco Storace è uno dei brutti e cattivi, ministro della Salute con gessati disdicevoli, un angelo che ha mangiato troppi fagioli ed è favorevole al fumo, nonché non proprio convincente sull’influenza avicola. Un tempo la destra poteva contare sui militari esercito, marina e aviazione, adesso ha problemi anche con l’aviaria. Gianni Alemanno è un altro con la faccia di uno che comincia a giocare quando giocano i cattivi, sguardo teso di chi teme un attacco alle spalle; mentre Maurizio Gasparri non si è più ripreso dalla trombatura da ministro, dopo avere realizzato la legge voluta da Silvio Berlusconi per le sue truppe e le sue troupe. Inoltre il ministro degli Esteri, che spesso esprime una politica estera piuttosto virile, è gravemente scoperto sul lato femminile: poteva dargli una mano la Prestigiacomo, trasferendosi armi e bagagli in An, ma si sa che le donne sono volubili, un giorno dicono che sono pronte a saltare lo steccato e a fuggire nell’Arkansas, poi rimangono a ballare con il loro Cavaliere. Insomma, a destra i buoni sono buoni relativamente. È buono Silvio Berlusconi, ma solo finché non lo fischiano in chiusura di Olimpiadi a Torino (con tutto il rispetto, a Torino andò male anche a un altro pistolero, il cavalier Benito, che tirò alcune bestemmione romagnole e concluse prendendosela con gli operai del senatore Agnelli: «Sono come i fichi, neri fuori e rossi dentro»). Berlusconi ha i tacchi da bounty killer, ma non gli speroni, e il cavallo interno lordo non cresce neanche sotto l’occhio del padrone. Il suo programma è una tipica operazione pensata dal cattivo vero di tutto il centro-destra, ovvero Giulio Tremonti: che nella prima bozza dopo avere elencato le riforme attuate dalla Cdl si era interrogato pensosamente: «Cosa resta da fare?». Ma niente, ci basta. I programmi di Three Mountains sono trovate da commercialista proiettate nella geopolitica: piacciono molto nelle riunioni di categoria. Quanto alle sue proposte generali, eccone alcune sull’ordine pubblico: «Legge & ordine. Non è più vietato vietare. Più severità nei tribunali. La pena non serve solo per rieducare ma anche per punire e scoraggiare…». A molti nella "Casa circondariale delle libertà" (copyright di quel brutto ceffo di Marco Travaglio), dev’essere partito un brivido. Sono buoni anche tutti i capi e i gregari dell’Udc. Buonissimo, Pier Ferdinando Casini, uno capace di scambiarsi i bigliettini con Walter Veltroni, vincete voi, ma no, pareggiamo noi. Addirittura eccellente è Marco Follini, che quando i berluscones gli sparano addosso risponde con ottime battute, sullo schema "me ne hanno date, ma gliene ho dette". Ottimo è Rocco Buttiglione, che con Marcello Pera potrebbe fondare un movimento neocristiano, nella certezza di poter ambire, entrambi, alla successione di papa Ratzinger, quando sarà il momento, oppure al lancio di una crociata in difesa della (demo)cristianità; e se va male un ruolo da predicatori in uno spaghetti western non glielo toglie nessuno, a nessuno dei due. Per la categoria dei brutti e cattivi autentici, i migliori critici assegnano Oscar e nomination, ça va sans dire, alla Lega: c’è il cattivo d’annata, il Senatur, che resiste impavido a tutte le pallottole che il destino gli ha tirato adosso, fa il vecchio saggio, ma in cuor suo deve avere già deciso che la storia della Casa delle libertà è finita, e non appena il referendum spazzerà via la devolution si entrerà in un altro film: la sua banda dei tre Roberti, con Maroni, Castelli e Calderoli è pronta per un remake di "Dio perdona io no" (Maroni non perdona gli esuberi alla Fiat, Castelli non perdona i pm, Calderoli non perdona gli islamici: continueremo a chiamarli Trinità). Quelli dell’Unione sono tutti buoni. Belli, mah. Tolto il bello guaglione per definizione prodiana, Francesco Rutelli, l’estetica del centrosinistra tende decisamente al brutto (neanche Luxuria & Grillini alzano la media e il glamour). Siamo brutti che piacciono, sarebbe lo slogan creato da Giulio Santagata, solo che lui non piace alla Margherita e Arturo Parisi non piace ai rutelliani. Romano Prodi l’ha messa sulla serietà. Fassino, D’Alema e Bersani fanno i seri anche loro, forse per il sospetto che nel clima da Far West la transizione comunista possa concludersi con il passaggio dall’Unipol all’Interpol. I problemi più immediati sono provocati dalla Rosa nel pugno, che più che un partito sembrerebbe una canzone di Celentano, «a mezzanotte sai che io ti cercherò»: ma altro che una carezza, Boselli e Pannella alla Quercia hanno davvero tirato un pugno, anzi un cazzottone, con la candidatura esplosiva, giù la testa, del compagno Lanfranco Turci (l’autocandidatura di Emma Bonino al Quirinale è un sequel, e sembra fatta apposta per far venire il mal sottile al dottor sottile Giuliano Amato). Nel gran duello elettorale, Prodi sta adottando una tattica imperscrutabile. Non spreca un proiettile. Rinvia la decisione sul faccia a faccia televisivo. Tiene coperto il programma. Come fu detto, il Professore (ottimo soprannome per uno sceriffo, di quelli che hanno un passato moderato da far dimenticare e quindi sono diventati micidiali anche con i loro alleati: come è stato ripetutamente scritto, e come hanno raccontato anche a Helmut Kohl, Romano gronda bonomia da tutte le Colt). Quindi i suoi sostenitori sono convinti che al momento buono Prodi avrà ancora a disposizione un impressionante volume di fuoco; i suoi nemici invece sono arcisicuri che quando comincerà a sparare le elezioni saranno già passate. Chi vivrà, e nel West non è facile sopravvivere, vedrà. L’Unione intanto ha fatto onore al suo nome unendo l’estremista moderato Antonio Di Pietro con l’estremista rossa Franca Rame. I cattivi del centro-sinistra sono tutta gente conosciuta, e le loro facce si possono trovare su appositi cartelli davanti a tutti i saloon: Pecoraro Scanio, Mastella, Diliberto. Ma anche nei film più duri si è visto che i cattivi si riscattano. La prova della redenzione l’ha fornita Fausto Bertinotti. D’altronde, l’Unione è davvero davanti alla prova del fuoco. O vince questa volta, e porta a casa il costosissimo scalpo di Berlusconi, oppure si cambia produttore, regista, film, personaggi, distribuzione, e magari anche pubblico. Ma se l’Unione ce la fa, sarà la smentita ufficiale che, quando l’uomo con la pistola incontra l’uomo con il fucile, l’uomo con la pistola è un uomo morto. Per battere i cannoni televisivi del Cavaliere, ci vuole un’azione come quella finale di Butch Cassidy e socio. Per sfuggire alle trappole di una coalizione non proprio volonterosa, divisa sulla politica estera, sugli embrioni, sull’Europa, sul papa, non basta un gran pistolero, la mano veloce, una buona mira. Occorre la principale caratteristica posteriore che ha reso famoso Prodi. Urge la fortuna che talvolta aiuta i parroci. E di fronte all’impresa temeraria del Parroco, dieci anni dopo, ci vuole soltanto del gran cinismo per augurare, alla fine del film, in attesa dell’happy ending, "pacs e bene".
09/03/2006