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Fazio-Siniscalco finale di partita

15/09/2005

È infantile considerare il caso Fazio come la storia già scritta dell’uomo solo che si chiude nel fortino e aspetta un prodigio che lo salvi. Alla fine, la vicenda del governatore della Banca d’Italia si è rivelata lo specchio del fallimento del governo di centrodestra, e più precisamente dell’incapacità del presidente del Consiglio di gestire decentemente qualsiasi crisi. Si scrive Fazio, ma in filigrana si legge Berlusconi. Di fronte a uno sbandamento istituzionale gravissimo, il capo del governo non è riuscito a prendere una posizione seria. Nel momento di maggiore tensione, dopo avere varato una mezza riforma su Bankitalia, Berlusconi è riuscito soltanto ad autoincensarsi, proclamando «san Silvio ha fatto il miracolo». Purtroppo non era vero. Di fronte a una sequenza di eventi tale da demolire la credibilità delle nostre istituzioni monetarie, il premier ha adottato la tattica pilatesca che è solito usare quando la tensione sale. Silenzi. Mezze frasi. Atteggiamenti indecifrabili. Aveva usato lo stesso metodo quattordici mesi fa, cioè nel momento in cui l’Udc e soprattutto Alleanza nazionale avevano portato l’affondo contro l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Per salvare se stesso, il proprio dicastero, il record di durata del governo, Berlusconi aveva lasciato cadere il pilastro della sua politica economica. Con rassegnazione cinica aveva consentito che Gianfranco Fini accusasse Tremonti di avere presentato conti truccati, e infine aveva permesso che «il nostro uomo migliore», il protagonista dei condoni, delle cartolarizzazioni, della finanza creativa venisse abbattuto. Proprio questa irresolutezza del Cavaliere, la sua indecisione di fronte alle lotte politiche che attraversano la Cdl, la sostanziale incapacità di comprendere le ragioni di fondo che ispirano le mosse conflittuali dei suoi alleati, sono gli atteggiamenti che si sono manifestati nuovamente nella crisi che ha investito il vertice della Banca d’Italia. Si è capito fin dal primo istante che Berlusconi era indifferente alle sorti di Fazio. La sua preoccupazione maggiore derivava dal fatto che il destino del governatore impattava pesantemente il centrodestra. È fatto così, Berlusconi: se la Lega sostiene Fazio, il governatore va sostenuto, o perlomeno tollerato. A dispetto degli altri alleati, di Giorgio La Malfa, di Fini, di Tabacci, a dispetto della ragionevolezza. Ciò che ha rotto l’equilibrio è stato il pronunciamento a Cernobbio di Domenico Siniscalco. Il successore di Tremonti sarà criticabile quanto si vuole, ma non è un provinciale. È una figura che ha sempre frequentato ambienti internazionali, è di casa a Davos, si trova perfettamente a suo agio nei vertici economici. Si è accorto rapidamente che le parzialità della Banca d’Italia nelle scalate bancarie stavano demolendo la credibilità del nostro paese. Siniscalco non è un politico: è un grand commis che ha lavorato con i governi di Giuliano Amato e di Carlo Azeglio Ciampi, e che ha fatto parte del comitato di consulenza del governo D’Alema; da professore di economia, si sente un componente della comunità intellettuale. Quando un collega prestigioso e ascoltatissimo come Francesco Giavazzi, sul "Corriere della Sera", lo ha definito «un accademico senza spina dorsale», il ministro "tecnico" ha capito che non c’erano più spazi per le dissimulazioni politiche, e quindi ha rivolto il suo pollice verso al governatore. La posizione di Siniscalco è più che scomoda. Basta registrare il sadismo soave con cui a Cernobbio Romano Prodi ha lasciato cadere: «Vedremo i conti che ci lascerà il nostro Domenico». Una frase che richiama Siniscalco alla sua serietà di studioso, ma che nello stesso tempo allude anche alla notoria simpatia del ministro per posizioni politiche, a sfondo riformista-ambientalista, che non sono certamente di destra. In sostanza: Siniscalco ha fatto benissimo a chiedere le dimissioni di Fazio, se è convinto che lo richiede l’affidabilità europea del nostro paese. A differenza di Giavazzi, chi scrive pensa che Siniscalco abbia carattere: e l’intuito sufficiente a capire che anche la sua uscita di scena potrebbe essere più seria di una permanenza accademicamente insignificante in un governo fallito. In sostanza prima della fine della legislatura e a caso Bankitalia chiuso, Siniscalco dovrà dimostrare se è conveniente per il paese insistere nella finzione dell’incarico tecnico o accettare tutte le responsabilità della politica.

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