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Generazione frantumata

30/05/2002

Alessandro Cavalli, sociologo all’Università di Pavia, direttore da otto anni della rivista "il Mulino", ha curato con Carlo Buzzi il Quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile. Professor Cavalli, lei ha seguito tutti i rapporti dello Iard sui giovani, dai primi anni Ottanta a oggi. Parliamo della generazione del nuovo secolo: possiamo effettivamente definirla come la generazione dell’incertezza? «L’incertezza è una chiave interpretativa di forte suggestione. Soprattutto nel senso che i tragitti di crescita individuale e collettiva sono diventati più complessi, e non appaiono più meccanici e prevedibili come in passato. Ma occorre tenere presente che non c’è generazione più spaccata di questa che abbiamo indagato». Per forza: con un campione che va dall’adolescenza ai 34 anni, le differenze sono pressoché automatiche. «Non solo. La generazione degli anni Duemila è politicamente polarizzata. Il rifiuto della politica è comune sia ai giovani di destra sia a quelli di sinistra, ma un blocco di differenze resiste. A sinistra si sente ancora il richiamo, o l’eco, dell’impegno sociale, e anche l’effetto di una mobilitazione che si orienta sui temi riconducibili alla sfera no global. Mentre i giovani che si identificano con posizioni di destra sentono molto più forte il richiamo del privato». Non si direbbe una novità. «La polarizzazione è anche intra-generazionale. I giovanissimi sono diversi dai giovani. Ad esempio, si registra una differenza significativa fra chi studia e chi lavora. In Italia non si è ancora completata la "grande trasformazione" consistente nel mantenere la quasi totalità dei giovani fino a 18 anni in un percorso formativo. Inoltre, la differenza fra giovani di destra e sinistra in chiave di impegno sociale, un dato comune a tutte le ultime ricerche, da quelle dell’Istituto Cattaneo di Bologna alle indagini svolte da Roberto Cartocci e pubblicate dal Mulino nel recente libro "Diventare grandi in tempi di cinismo"». E quindi come dovrebbe essere impostato un programma politico di sinistra per tenere conto della variabile generazionale? «Dovrebbe curare di più i giovanissimi, praticando un investimento di medio-lungo periodo. Il fatto è che non esistono più gli strumenti di immediata traducibilità politica del consenso giovanile. I partiti sono lontani. Si vedono solo i movimenti. Una volta che si è perso il canale di comunicazione con questo segmento di generazione è drammaticamente complicato ripristinarlo. Ma è evidente che si tratta di una questione europea, non solo italiana». Vuol dire che la maggioranza dei giovani d’oggi è naturaliter di destra? «No, vuol dire che cresce la disomogeneità fra gli orientamenti. Questa diso-mogeneità si appiattisce fino a scomparire per ciò che riguarda i tratti culturali, in particolare nei consumi culturali e di intrattenimento, ma sarebbe un errore di marketing politico considerare i giovani come una massa indifferenziata». Bisogna fare i conti con una società futura che sarà una società spaccata? «Di sicuro si può dire che mai come oggi sembra avverarsi la diagnosi di Giovanni Sartori sulla democrazia italiana gravata dal "pluralismo polarizzato". E sotto il profilo sociologico si può riconoscere che nelle indagini precedenti risultava un quadro meno divaricato. Siccome la politica si alimenta troppo spesso di immagini stereotipate, conviene tenere sott’occhio la realtà che si sta delineando, altrimenti non si farà politica, si farà mitologia».

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