Faranno il piacere di mettere a disposizione di chi non è capace neanche di accendere la tv un attrezzo totale, che contenga tutto quello che serve per la ricezione e la riproduzione. Faranno il piacere di raggruppare, in un unico "coso", l’etere, il satellitare, il digitale, il dvd, il vhs, Internet, la banda larga e qualsiasi altra roba a destinazione televisiva. Dopo di che cominceremo a ragionare sui programmi, e su quali reti o canali vorremo sintonizzarci. Perché intanto si rinviano gli acquisti, si aspetta la modalità nuova, l’ordigno definitivo che non ci faccia pentire dell’acquisto intempestivo, con gli esperti che ridacchiano e dicono: stupido, te l’avevo detto. Dice: intanto godetevi Al Bano e Loredana. O Pippo e Katia. O il trionfo sull’Isola di Lori Del Santo. Sì, marameo. Noi aspettiamo la televisione "de qualità". La aspettiamo come aspettiamo il successo del centrosinistra, non perché si abbia particolare fiducia sulle sorti magnifiche e progressive, ma perché dopo cinque anni di Silvio e Gianfranco e Pier Ferdinando, con l’aggiunta di Roberto Calderoli, uno ha il diritto di tirare il fiato. Cioè ha il diritto di cambiare canale. E non solo per rivedere il volto di Enzo Biagi, di Michele Santoro e di Daniele Luttazzi, gli ostracizzati dell’Editto di Sofia: che quando riappariranno scenderanno lacrime e diremo bentornati, quanto tempo, dove siete stati, quanto ci siete mancati, come si fa con i parenti che non si sono visti per un po’. Ma cambiare canale significherebbe anche vedere il Tg1 e il Tg2 senza doversi chiedere: ma è vero? Che cosa sono quelle nuvole rosa sulla penisola? Sono previsioni meteo o l’imposizione di un clima? E non perché la televisione della Casa delle libertà sia la televisione dell’intrattenimento, mentre la tv dell’Unione sarebbe quell’altra. Siamo grandi, lo sappiamo bene che la televisione è tutta infotainment, sia quando appaiono il papa, la senatrice Rita Levi Montalcini e il presidente Ciampi che deplora la cattiva tv, sia quando si profila Paolo Crepet o Giucas Casella. D’altronde, se uno vuole programmi alternativi, già adesso ne trova quanti ne vuole. Il bouquet di Sky consente di vedere, che so, "Cult", che manda film brasiliani o congolesi con un perfetto cartellone da cinema d’essai; un canale dedicato agli animali, con moltissimi serpenti e coccodrilli; e qualsiasi programma di nicchia si senta il bisogno. Con il che, qualcuno potrebbe avere la tentazione di dare ragione all’ex ministro Maurizio Gasparri (a proposito, s’è poi capito perché lo fecero fuori dal Berlusconi bis?), che per tutelare il sistema berlusconiano inventò il Sic, ossia il sistema integrato della comunicazione, diluendo il potere televisivo del Cavaliere in un indistinto imprendibile. Però, però. È vero che i "satellitari" passano ormai le serate facendosi il proprio palinsesto su misura: non piace "Porta a Porta"? Trovo un film "classic", magari una bella commedia anni Cinquanta su cui addormentarsi placidamente. Contemplo una partita della Ternana (si fa per dire) del 1992. Guardo il salvataggio di un gatto su "Animal Planet", bravi i vigili del fuoco di Santa Monica. C’è anche chi ormai non guarda un programma ma guarda genericamente la televisione: dito pollice sul telecomando, un canale dietro l’altro, zapping puro, trionfo del totem domestico come puro frullato di nulla, blob infinito, immagini senza sosta e senza senso, e alla fine della ginnastica si ritrova pure un pollice da atleta, muscolosissimo. Bisogna tuttavia specificare che la diffusione del satellitare è frenata dalle assemblee di condominio, che non si mettono mai d’accordo sull’installazione dell’antenna, giacché non solo è complicato realizzare il partito democratico, è complicatissimo anche passare alla parabola unica. E quindi gli operatori della pubblicità, quelli che guardano l’auditel come se fossero i dieci comandamenti, fanno ancora i conti con le sei reti del Sib, che non vuole dire Si bemolle, ma Sistema integrato Berlusconi, con qualche spazio concesso al Tg3 e a La7. Ogni volta che può, Aldo Grasso ricorda che il pubblico della televisione generalista è costituito prevalentemente da donne prevalentemente meridionali, prevalentemente a bassa scolarità, prevalentemente esposte al piccolo schermo per tutta la giornata. Quindi è con quella tv che bisogna fare i conti: con la tv di massa, non con la tv di nicchia. E allora, nella benigna ipotesi che il centrosinistra vada al governo, bisognerà che il cambiamento di canale e programmi tenga conto della realtà, e non delle illusioni. A sinistra c’è gente che non ha mai visto "L’isola dei famosi" e che pensa in buona fede che il popolo desideri ardentemente la prosa, la lirica, la cultura, la politica "alta", le inchieste, l’approfondimento, la tortura intellettuale, il dibattito, le rassegne librarie. Questi, bisogna fermarli subito. Spiegare che non hanno ancora capito che il mezzo è il messaggio. La televisione è la televisione. E quindi non si tratta di cambiare tutto, facendo la rivoluzione contro il popolo e l’Auditel. Eh no, bisogna essere riformisti anche qui. Essere riformisti in campo televisivo significa innanzitutto comprendere che non si tratta di sostituire, ma di migliorare. Il progetto potrebbe essere sintetizzato con slogan di questo genere: "Più Fiorello per tutti". Oppure "Corrado Guzzanti al potere". Perché Fiorello è la televisione al suo meglio, intrattenimento puro, fantasia, ritmo, divertimento, ironia. Al massimo il professor Prodi potrebbe fargli una telefonata e indurlo a fare lavorare di più e meglio i suoi autori. Perché come disse una volta il Professore, non Prodi, ma sempre Grasso, «se avesse anche autori come quelli di David Letterman, con la tv di Fiorello noi avremmo la nostra Broadway». E quanto a Guzzanti, dopo il successo strepitoso dell’imitazione di Tremonti, povca tvoia!, potrebbe rifare utilmente tutta la galleria del centro-sinistra, dal Professore, non Grasso, ma di nuovo Prodi, immortalato mentre accarezza la mortadella, fino a Francesco Rutelli che compone al pianoforte l’inno "Forza Ulivo", sulle note della canzoncina di re Silvio. Vero è che si finisce sempre a parlare della Rai, ossia solo di una metà dell’etere. Ma si spera che il programma di governo dell’Unione non contempli anche di cambiare l’anima di Mediaset. Avesse dato ascolto a certi provocatori, il centro-sinistra avrebbe privatizzato integralmente la Rai smantellando nel contempo, ovviamente, l’altra metà del duopolio. Reti tutte private, ma una soltanto per ogni proprietario. Obiettano i più meditabondi: e il servizio pubblico? Risposta: ragazzi, il servizio pubblico andava bene ai tempi del maestro Manzi, dell’"Approdo", del centro- sinistra storico, di Mario Soldati, di Studio Uno, di quando il calcio era una rarità domenicale preziosa e ansiosamente attesa, di quando c’era la solidarietà nazionale. Adesso il servizio pubblico a che cosa servirebbe? A nazionalizzare "Matrix" e "Porta a Porta"? Ad assicurare qualche rendita politica e qualche spartizione dentro il piccolo schermo? No, se dobbiamo cambiare, cambiamo. Non si arriva qui a proporre di spostare la Rai a Pordenone, o a Reggio Calabria, come pure sarebbe un’ottima idea per smobilitare lottizzazioni, generoni e semi-vip. Ma intanto proviamo a creare un mercato, cioè un pluralismo, cioè reti autonome, e poi vedremo come va. Peggio di adesso non andrebbe. Chiedono i più avvertiti: e la cultura? Risposta: se c’è una domanda, ci sarà anche un’offerta. Se c’è qualcuno che vuole Pavarotti, si fa per dire, o Albertazzi, qualcuno farà i suoi conti e glieli darà. Altrimenti, se non c’è la domanda, tanto peggio per l’Italia. Come diceva Nanni Moretti: «Ve lo meritate Alberto Sordi!». Solo che con il passare del tempo, guardando la tv contemporanea, state certi che Moretti rimpiange anche Albertone. Insomma. Con la prossima stagione si cambia. Iscriviamo nella bozza di programma che vogliamo una tv meno banalis. Con un invito: alla prima difficoltà, non vengano a dirci che risolveranno tutto con un nuovo programma di Adriano. Il prossimo Celentano lo vogliamo per il suo settantesimo compleanno, non prima. Coronamento di una carriera, eccetera. Grande prova di televisione "contro", e va bene. Ma intanto, lasciateci respirare. Lasciateci fare il nostro zapping quotidiano.
04/01/2006