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God salvi la Gad

18/11/2004

Ma no, ma no. Non siamo mica gli americani. Il vecchio slogan di Vasco Rossi è l’antidoto migliore al coro pastorale di spiegazioni della vittoria di George W. Bush. Se il centrosinistra italiano vuole perdere le elezioni politiche del 2006 non ha che da seguire le indicazioni che motivano la vittoria di Bush con la mobilitazione dei "valori morali". Tesi: sono stati i fondamentalisti cristiani a soccorrere il comandante Bush, evangelici, presbiteriani, la cristianità profonda, dato che i repubblicani hanno fatto propria la battaglia contro il relativismo, l’aborto e il matrimonio gay. Conseguenza: la sinistra deve riscoprire i sunnominati valori. Pazienza se l’interprete migliore di una politica di questo genere, perfettamente qualificato perché il centrosinistra l’ha costruito davvero, si chiamerebbe Amintore Fanfani ed è stato sfortunatamente sconfitto nel 1974 al referendum sul divorzio. Pazienza. Oppure un’altra ottima tecnica è quella di lasciarsi affascinare dal movimento degli "atei devoti", o dei clericali senza Dio, capeggiati da Giuliano Ferrara, fondatore della Società dei liberi, embrione di partito, movimento trasversale che trova nella cristianità di Rocco Buttiglione gli ideali e l’identità che la postmodernità liberale ha scialacquato. Tanto poi non mancherà un prete, mettiamo un Gianni Baget Bozzo, che reciterà con bella ispirazione il motto della nuova crociata: "Nel nome del Padre, del Foglio e dello Spirito Santo". È tale e tanta la subalternità comportamentale della sinistra, che ci si può aspettare di tutto. Che Francesco Rutelli, ad esempio, il quale aveva già preso una posizione "clerical" con la legge sulla fecondazione assistita, cerchi di aprire un tavolo sulla riforma della giustizia. Sono mesi che il centrosinistra è indignato perché la Casa delle libertà si fabbrica le "sue" riforme, a cominciare dalla Costituzione, e Rutelli annuncia al "Corriere della Sera" che sarebbe bene aprire il tavolo. Aprire: poco dopo che è stato denunciato che certe norme, tipo quelle sulla prescrizione, servirebbero soltanto a salvare Cesare Previti. Sicché non ci si può stupire troppo se un uomo come Fausto Bertinotti di questi tempi sembra un riformista moderato, un uomo equilibratissimo. Dove sono i valori?, gli ha chiesto Massimo Giannini in una intervista su "la Repubblica". «Nella Costituzione», ha risposto l’estremista. Perché nella Costituzione c’è la persona e c’è la solidarietà, un riflesso della visione socialista. Già, il socialismo. Che fine fa il socialismo nella prospettiva di Bertinotti? Il subcomandante Fausto non esita. Vale la pena di riscoprire il documento di Bad Godesberg, anno di grazia 1959, quando nella città gemella di Bonn i socialisti tedeschi rinunciarono al marxismo e inserirono nel proprio quadro politico l’idea dell’economia sociale di mercato, ciò che all’avvio degli anni Novanta l’economista francese Michel Albert avrebbe definito "modello renano". Ma il lieve senso di sollievo nell’assistere alla nuova incarnazione di Bertinotti, pacifista ma nonviolento, radicale ma non oltranzista, forse autenticamente alle prese con la questione del governo, viene poi compensato da alcuni altri fenomeni, tutti riassumibili nella domanda: quali sono i confini del centrosinistra? No, non i confini della Gad, la Grande alleanza democratica. Ormai dovremmo avere capito che gran parte dei problemi che hanno afflitto nei mesi scorsi l’opposizione, e che l’opposizione ha inflitto agli italiani, sono fortunatamente alle spalle. Al momento, quindi, non c’è nessun bisogno di riesumare vecchie storie. La questione della leadership, agitata a suo tempo con una bella vena masochista, è definitivamente alle spalle, anche grazie all’eccellente uscita di Romano Prodi dalle stanze di Bruxelles, e al colpo di immagine, diciamo così, dovuto alla proroga del suo incarico in seguito alla caduta della prima Commissione Barroso. Si sono dissolti anche molti degli spettri neocentristi che turbavano l’alleanza e il leader. Potrebbero eventualmente essere rievocati, questi fantasmi, se qualche partito dell’opposizione dovesse prendere sul serio le sirene della Cdl sul cambio del sistema elettorale. Nell’incontro con Prodi prima della firma del trattato costituzionale europeo, un Berlusconi con il sorriso sulle labbra ha detto che intende procedere decisamente sulla strada del ritorno alla formula proporzionale. Sorridendo a denti stretti, Prodi ha risposto: «E noi ci metteremo di traverso». Ma basterà che i molti orfani della proporzionale, da Clemente Mastella ad alcuni ex popolari della Margherita, ma senza perdere di vista verdi, socialisti, i proporzionalisti convinti di Rifondazione, facciano qualche apertura per interesse di partito perché il capo del centrodestra si ritrovi in mano un’arma virtualmente letale contro la Gad. La domanda sui confini del centrosinistra riguarda piuttosto ancora una volta la galassia esterna: a questo punto i girotondi, i movimenti, le "espressività", come le chiama Piero Fassino, alla Nanni Moretti sembrano avere un profilo molto più basso rispetto al passato, e Pancho Pardi è poco visibile. C’era un solo leader possibile per i sostenitori del no alla guerra in Iraq "senza se e senza ma" ed era Sergio Cofferati, che ha scelto la via più tradizionale della riconquista del bastione Bologna. In attesa di sciogliere il dilemma angoscioso se le elezioni si vincano mobilitando l’identità a sinistra o conquistando il centro (altro argomento affascinante per l’elettore gaddista medio), ci sarebbe da valutare quanto incida sull’umore dell’elettorato l’evento disastroso della "spesa proletaria" effettuata con l’assalto all’ipermercato Panorama di Roma e alla libreria Feltrinelli di Largo di Torre Argentina. La sensazione immediata è che un certo elettorato quello sì moderato, nel senso che detesta di?sordini, espropri, allagamenti di licei, e che magari voterebbe il centrosinistra perché intuisce che la professionalità di alcuni suoi esponenti è migliore della media berlusconiana, non appena vede profilarsi un corteo di Disobbedienti, di Invisibili del Nord-est, di Disoccupati del Sud, oppure la "Gap", la Grande alleanza precaria, con i suoi leader Casarini e Caruso, e l’accompagnamento di Nunzio D’Erme, viene colto da acuti malesseri. Non parliamo poi di quando il deputato verde Paolo Cento prova a difendere l’esproprio parlando dell’episodio romano come della «conferma di una nuova, drammatica emergenza sociale», o quando si apre un interessante dibattito sulla differenza fra illegalità e illegittimità. È vero che la situazione del governo è grottesca: bocciato sul primo articolo della finanziaria, maltrattato da economisti autorevoli come Francesco Giavazzi secondo cui il taglio fiscale del Cavaliere è insignificante, sbertucciato nelle scelte dai suoi guru (come nel caso della nomina di Franco Frattini alla Commissione europea, che "Il Foglio" ha svalutato alla stregua di un gioco di massonerie), ci mancherà soltanto che la nomina di Gianfranco Fini alla Farnesina venga accolta da scocciate riflessioni antifasciste. Ma l’autodemolizione della Casa delle libertà non significa automaticamente la vittoria del centrosinistra. Se si impegna, la Gad, quanto all’euforia autodistruttiva, non la batte nessuno.

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