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Gran Premio Formula Pd

06/08/2009

Per cortesia, prendete nota che voi lo chiamate congresso, mentre i democratici la chiamano convenzione. Tuttavia, convenzione o congresso, com’è la battaglia per la leadership del Pd? Ma quale battaglia. È una guerra. Combattuta per mare e per terra, in trincea e in assalti alla baionetta, ora leale, talvolta invece sotterranea e incarognita, una guerra asimmetrica alla al Qaeda con un ampio repertorio di manovre canaglia. Scommettere su chi vince è un azzardo. Anche se «vince Bersani», dicono tutti. Perché ha l’appoggio delle regioni rosse, dei segretari locali, dei sindaci, degli assessori, degli "apparati" del vecchio Pci. Perché è nato lo stesso giorno di Silvio Berlusconi, 15 anni dopo, «seduto in quel caffè», cioè il 29 settembre. Secondo Enrico Letta, entrato a far parte del club degli emiliani, è piuttosto interessante osservare la dislocazione del sindacato: «Mentre il capo della Cisl Raffaele Bonanni si è subito schierato per Franceschini, la Cgil è spaccata in due, con esponenti importanti del suo circuito di dirigenti attuali e passati, come Cofferati e Nerozzi, che hanno scelto Franceschini, mentre Guglielmo Epifani e, credo, una parte consistente della base, sembra favorevole a Bersani». A questa realtà piuttosto omogenea culturalmente e politicamente si aggiungono quei cattolici come Rosy Bindi e lo stesso Letta, nonché i cristiano-sociali, che vedono con favore l’idea di un partito "secondo Bersani", radicato nel territorio e vicino al tessuto di imprese grandi e piccole (soprattutto piccole, come nel sistema del Nord-est e in Emilia). E su questi punti c’è l’endorsement implicito di Romano Prodi, che non ha lanciato squilli di tromba, ma non perde occasione per lasciar capire qual è la preferenza del padre nobile. D’altra parte il piacentino Bersani, grazie al consenso dell’asse che va da Prodi a Vasco Errani, governatore dell’Emilia-Romagna, sta facendo un autentico sforzo culturale, cercando in modo esplicito di presentarsi come un punto di sintesi fra culture, in pratica suggerendo un’immagine di sé simile a un nuovo Prodi: «Noi del Pd non veniamo dal nulla e neppure dall’ultimo mezzo secolo», ha detto e ripetuto in ogni occasione recente: «Rappresentiamo una traiettoria iscritta in 150 anni di storia, e che riassume vicende diverse ma complementari: quella delle società di mutuo soccorso, del mondo cooperativo, del movimento operaio e del sindacato, delle associazioni cattoliche e socialiste». Traduzione: non siamo semplicemente gli eredi del Pci e di qualche frangia della sinistra democristiana. "Bersani09", la sigla della sua mozione, richiama nello slogan un verso di Vasco Rossi: «Un senso a questa storia», forse dimenticando che Vasco ha sempre simpatizzato per Marco Pannella. Sul piano concreto, la mozione di Bersani rappresenta la riproposizione del "modello" emiliano, cioè quel sistema di economia sociale di mercato che ha creato e redistribuito ricchezza dal Dopoguerra in poi. Si vince, con questa specie di ritorno al passato? «La vittoria non è scritta a priori, e non è detto che sia così immediata e facile», risponde uno dei prodiani di lungo corso, Giulio Santagata, ministro per l’Attuazione del programma nei due faticosi anni dell’Unione, e oggi sostenitore di Bersani. «La Convenzione dell’11 ottobre probabilmente si concluderà con l’affermazione di Bersani, ma c’è da considerare che in seguito le primarie del 25 ottobre sono aperte, non limitate agli iscritti. È esemplare in questo senso la provocazione di Francesco Storace, che ha annunciato la sua partecipazione e ha invitato i suoi elettori a votare Bersani. E quindi la situazione diventa molto più incerta, perché le strategie dei cosiddetti apparati, con la concentrazione di blocchi di tessere, conteranno molto meno». Secondo Santagata voteranno alle primarie un milione e mezzo, forse due milioni di elettori, a seconda della temperatura dell’antiberlusconismo, e quindi fare previsioni è un esercizio sterile: «Il partito è contendibile, e molto dipenderà dalla velocità con cui i candidati usciranno dal congresso. È come la partenza in Formula Uno: conta lo scatto al via, ma conta soprattutto la velocità con cui si esce dalla prima curva». Sulla griglia di partenza restano gli altri due candidati, Dario Franceschini e Ignazio Marino. Franceschini sta puntando molto su un partito "identitario". Si dimostra preoccupatissimo riguardo a questioni sistemiche come il bipolarismo. Può darsi che, come sostiene Massimo Cacciari, sia ancora legato allo schema di Walter Veltroni, per cui il Pd si giocherebbe ogni volta la sua partita in un faccia a faccia con il Pdl; ma si tratta di vedere quale sia il gradimento di queste posizioni e specialmente se l’opinione pubblica sia ancora motivata da argomenti relativi all’impianto del sistema politico e della legge elettorale. Per certi versi è curioso il sostegno all’attuale segretario di alcuni pezzi di nomenklatura e di figure storiche della sinistra, come Cofferati, parlamentare europeo e probabile prossimo segretario della Federazione ligure. Si tratta di un’occupazione preventiva di spazi di potere dentro il Pd? Anche la starlet generazionale Debora Serracchiani si è sistemata alle spalle del segretario Franceschini. E con il cinquantenne segretario ferrarese si sono schierati gli ambientalisti di Ermete Realacci. Mentre sembra gravato da troppe zavorre il terzo uomo Ignazio Marino, portavoce di un principio laico che viene giudicato insufficiente per raccogliere consenso in sede congressuale. Inoltre dentro il partito ha risuonato in modo sgradevole la vicenda dei rimborsi truccati con l’Università di Pittsburg, e le solidarietà espresse nei suoi confronti sono apparse di tipo diplomatico, quindi poco significative sul piano del riconoscimento formale della sua correttezza amministrativa. Un siluro non da poco per il candidato che aveva evocato una questione morale ingente nel partito, dopo l’arresto di Luca Bianchini, presunto stupratore seriale e responsabile di un circolo democratico romano. Anche per Marco Follini, Bersani è il candidato favorito: «Ma occorrerà vedere se al congresso riuscirà convincente. Se Bersani ce la farà ad apparire un leader ragionevolmente capace di creare mescolamento, ci sono poche possibilità che venga battuto. Ma anche lui, in questi due mesi e mezzo, vive sotto un incubo, o una spada di Damocle». Che sarebbe la tutela di Massimo D’Alema. Si scrive Bersani e si legge Líder Máximo. Qualcuno a Bologna, molto in alto fra le figure di riferimento del Pd, sostiene che basterà una frase di D’Alema, un’intervista o una battuta, per incenerire la candidatura di Bersani e ridurlo a un burattino nelle mani del "vecchio bolscevico" Baffino. Tuttavia non c’è soltanto questo aspetto: secondo Antonio La Forgia, esponente bolognese dell’"école parisienne", cioè del magistero di Arturo Parisi, il limite della candidatura di Bersani è proprio di matrice ideologica e culturale: «Pier Luigi è il portatore di un recupero del compromesso socialdemocratico, cioè la vecchia strada emiliana, fra la via Emilia e il welfare. Ma i punti di forza di questo schema politico hanno esaurito il loro potenziale, nel senso che possono essere utilizzati anche a destra, senza caratterizzazioni politiche specifiche. Quindi alla fine il discorso di Bersani davanti all’opinione pubblica potrebbe essere convincente, ma non è detto che sfondi». Invece per Letta la competizione è comunque un elemento positivo perché provoca un rimescolamento: «Io mi sono schierato per Bersani in una chiave liberale e ulivista. Perché sono convinto che occorre ritrovare radici e convinzioni che ridiano spinta al centrosinistra. Ma aggiungerei che anche la candidatura di Marino, voluta e appoggiata da Goffredo Bettini, suscita energie nascoste e richiama in primo piano idee e posizioni che altrimenti avrebbero una rappresentanza minore nella politica italiana». In conclusione, giochi aperti. Si assisterà a uno scontro campale, e a un’estate rovente. «Ma alla fine», dice Letta, «con tutti i limiti dello statuto, e la possibile sfasatura tra il risultato della convenzione e le primarie, questo sarà un congresso pulito. E per la nostra politica questo sarà un risultato di eccezionale importanza».

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