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Ho due delusioni, Ciampi e Berlusconi

27/12/2001

Il processo politico a Francesco Cossiga si mescola con le malevolenze su presunti scompensi psicologici. E Cossiga risponde facendo il processo a tutti gli altri. «Legga, legga». È un articolo per "Libero", il giornale di Feltri. «Di un giovane giornalista…». Magari Franco Mauri, che conosce Cossiga meglio di Cossiga? «Lui». Mi scusi, ma allora come devo chiamarla: presidente Cossiga o presidente Pessoa? «Pessoa?». Sa, quello scrittore portoghese, che si mascherava dietro pseudonimi. Dopo le interviste, le lettere, gli interventi di Cossiga, abbiamo questo Mauri, che pare un Cossiga al cubo. «Giovane giornalista…». Sarà portoghese come Pessoa. «Lo ammetto: di madre portoghese». Che fra l’altro attribuisce ai corridoi del Quirinale uno sconforto per la sua salute mentale. «Diagnosi tardive. Sa quando sono nate le dicerie sulla mia psicologia? Nel 1977. Durante una visita in Romania, incontrammo Ceausescu, che allora era "buono". Nel programma c’era una visita alla clinica della dottoressa Aslan, quella del Gerovital. Ci andammo, e nella relazione il nostro servizio segreto militare scrisse che mi avevano fatto l’elettroshock». Patrioti. Ma anche lei, presidente, non scherza. Attacchi contro tutti. A cominciare dal presidente del Consiglio. «Obiezione. Silvio Berlusconi "è" ma non "fa" il presidente del Consiglio. Il premier di un paese moderno deve decidere, non può limitarsi a giocare continuamente di rimessa». Che cosa c’è che non va, in lui? «È un eccezionale uomo d’impresa, ha fiuto per l’opinione pubblica, capisce la tv e la piazza. Ma è la decisione quella che fa il grande uomo politico. Lui è gentile, con una gentilezza tale da imbarazzare gli interlocutori. Tuttavia è diffidente verso chi gli usa cortesie senza chiedere nulla in cambio. Io lo difendo senza secondi fini, solo perché non voglio che il premier italiano sia preso a pesci in faccia in Europa…». E lui, Berlusconi, come risponde? «Con la sua gentilezza, infinita come la sua diffidenza. Sa che quando mi hanno operato, di tumore, mi ha mandato un biglietto? Diceva: "Benvenuto nel club K"». K come Kossiga? Ha senso storico. «K come cancro. Ha senso diagnostico. Sotto l’aspetto umano, Berlusconi è unico. Le riserve sono legate alla sua concezione della politica. Esistono leader "funzionali", connessi a una struttura di partito: come Blair, ad esempio. Se Blair se ne va, mica finisce il Labour. Mentre Berlusconi è un leader "esistenziale". Se va via lui, Forza Italia scompare». Questo non gli impedirebbe di governare. «Ma è proprio l’assenza di una connessione con un partito che lo tiene nel vuoto pneumatico. Tutti guardano lui, l’uomo che ha preso i voti, lui guarda i suoi, non decide, e così alla fine regna l’impasse». Ne può uscire? «Dovrebbe reinventare un grande gioco politico, convocando un’assemblea di tutta l’area che si richiama al Ppe. In modo da farlo davvero questo partito centrista, e trasformarsi in un leader funzionale. Altrimenti c’è solo un verticalismo aziendalistico». Intanto però nel governo le discordie sono all’ordine del giorno. C’è Ruggiero continuamente sotto tiro. «Ruggiero per me è un caso umanamente imbarazzante. L’ho conosciuto, giovanissimo diplomatico, e l’ho avuto come sherpa per i vertici. Berlusconi mi chiese un consiglio su di lui come ministro degli Esteri. Noti che Silvio è uno che sente ma non ascolta, e non mi illudo mai che segua i miei consigli. Comunque caldeggiai la scelta di Ruggiero. Adesso abbiamo un ministro che non difende Berlusconi, e sembra un estraneo nel governo». Ha avuto come sponsor Agnelli e Ciampi. Fa la politica di qualcuno? «No, fa la sua. Buonismo sul piano internazionale, convinto che l’Italia sia troppo debole per mostrare i muscoli. Arrendevolezza sull’Airbus, cioè l’A400-M. Vistose oscillazioni sulla guerra. Ma come, si è presa una posizione che ha scosso drammaticamente la sinistra, che ha diviso il mondo cattolico, e poi si dice che i nostri soldati non faranno la guerra? Come dire: scusate, abbiamo scherzato». E Berlusconi che fa, tace e sopporta? «Non vuole turbare Agnelli, a cui è grato per il viatico. Forse teme di non averlo contraccambiato abbastanza. Eppure ci sono stati almeno tre episodi che hanno mostrato la gratitudine di Berlusconi: il via libera all’operazione con Edf per la conquista di Montedison; poi la riapertura del dossier A400-M; e infine l’assenso al blocco dell’operazione che doveva condurre Mario Draghi, candidato eccellente, alla presidenza di Mediobanca». Ma come è nato l’asse Agnelli-Berlusconi? «Voglio farle una rivelazione. Parlando di Berlusconi con Ciampi, nell’inverno scorso, ci dicemmo: questo vince, ormai è chiaro. E ci dicemmo anche: per difendere l’Italia, vista l’ostilità che c’è all’estero verso il Cavaliere, dobbiamo sostenerlo. Trovare un consenso dentro i poteri forti. Così approfittai di un viaggio a Torino, per un convegno su Carlo Donat Cattin, e mi recai in visita a Villa Agnelli». Metà ambasciatore, metà congiurato. «Nevicava. Parlai con l’Avvocato, chiarendogli che ciò che gli esponevo era anche l’opinione di Ciampi. Agnelli ammise che avevo ragione. Era suo interesse far crescere il peso politico della Fiat mentre stava diminuendo quello industriale». Di certo c’è stato poi il via libera di Agnelli, quel «non siamo una repubblica delle banane» che ha aiutato il Cavaliere. «Avrebbe vinto lo stesso, perché il problema principale, in una democrazia come la nostra, è la situazione dell’attuale opposizione. Si sa che il mio cuore batte, poco compreso in verità, per la sinistra. La quale si trova in una condizione desolante. Equivoca. La mia polemica con Prodi è tutta sul famoso trattino. Centro-trattino-sinistra per me. Senza trattino per lui. Io dico che occorrono due pilastri, uno socialdemocratico, l’altro centro-riformista. Di recente Rutelli sembra avere fatto qualche passo su questa linea: adesso dovrebbe sfidare tutti quelli che hanno preso i voti sotto la Margherita e fare un partito vero». A destra la sentono ma non la ascoltano. A sinistra invece non la amano. «E sbagliano. Perché sono stato io che ho spezzato il tabù della conventio ad excludendum, vero o no? Chi è andato al Quirinale, dopo la caduta di Prodi, a proporre l’incarico per D’Alema? Anche loro sono berlusconiani di complemento: non si fidano, e credono sempre che abbia un retropensiero, o un avampensiero, in ogni caso un pensiero nascosto». Mentre lei è del tutto trasparente. «Prendiamo il caso di Ciampi. Gli ho sempre dato il mio appoggio, da politico, proprio perché sapevo che non era un politico di professione». Ma lei ha infranto il consenso sul capo dello Stato. Fino a chiederne di fatto le dimissioni. «Quando ho visto che in consiglio dei ministri applaudivano Ruggiero, dopo le polemiche sull’A400-M, e ho saputo che poco prima il ministro degli Esteri, che io avevo criticato, aveva visto il capo dello Stato, intrattenendosi con lui per un’ora e mezzo, la figura di Ciampi mi è apparsa in tutta la sua modestia». Che cosa significa modestia? «Modestia. È dotato di grande prudenza, che è soprattutto volontà di non esporsi. Insomma, una delusione. E forse avevamo ragione io e Massimo D’Alema, quando nei nostri conversari, di fronte all’incombere della candidatura Ciampi per il Quirinale, voluta da Prodi e Veltroni, ci dicemmo che sarebbe stata una disgrazia politica». In che senso? «La candidatura di Ciampi fu creata per impedire la saldatura del centrosinistra-col-trattino. Se non ci fossero state ubbie uliviste, se al Quirinale fosse andato un cattolico come Mancino o come Marini, prodismi e veltronismi si sarebbero dissolti, e il centro-sinistra sarebbe durato vent’anni». Vuol dire che lei e D’Alema concordavate anche in un giudizio negativo su Ciampi? «In quelle conversazioni a due, fu detta questa frase: qui finisce che Prodi e Veltroni ci buttano fra i piedi la candidatura Ciampi. E l’altro convenne». Chi la disse, questa frase? «Fu detta. E forse avevamo ragione. Sono sempre dalla parte di Max Weber, la politica "als Beruf", come professione, e quindi come vocazione. Cioè uno spazio per una dedizione assoluta, non l’esercizio di un funzionariato».

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