gli articoli L'Espresso/

Il 27 gennaio è il giorno della verità per Silvio

16/12/2004

Almeno adesso le cose sono più chiare. Sono finite le finzioni dorotee, la retorica furbesca del Termidoro, il Berlusconi che evoca l’apologo del "buon padre di famiglia" che deve fare i conti di casa limando le spese e cercando faticosamente di aumentare le entrate. Tutte storielle. Il capo di Forza Italia è uno squalo, non poteva rassegnarsi a essere un tonno. Si sa la fine che fanno i tonni. Ed ecco allora che il Cavaliere ha cambiato marcia di nuovo. Si era trovato invischiato nella ragnatela di Antonio Fazio e di Luca Cordero di Montezemolo, aveva dovuto accettare a malincuore i suggerimenti del suo ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, sull’opportunità di rinviare il taglio delle tasse. Ma era quello il Berlusconi vero, il Berlusconi "ridens", l’uomo dei blitzkrieg, il leader capace di mandare in deliquio i suoi fan? No, quello era una pallida imitazione. Un fantasma che aveva preso il posto del corpo reale. Era il Cavaliere allettato, nel senso di Gianni Letta, andreottian-style. C’è voluta tutta la forza di persuasione di Giuliano Ferrara, oltre un quintale e mezzo di determinazione intellettuale, ma alla fine il centrodestra ci è riuscito. Adesso il governo Berlusconi è il governo più estremista che l’Italia abbia avuto nella storia della Repubblica. Complimenti. Il radicalismo berlusconiano non è una novità. Il capo di Forza Italia aveva sempre nutrito certe voglie reaganiane e thatcheriane. Ma erano sempre sembrate inclinazioni un po’ dilettantesche, tipiche del neofita della scienza economica. Invece adesso il Cavaliere si è convinto. Ha preso sul serio uno dei comandamenti di Giuliano Ferrara, e cioè che la strada della crescita verrebbe spianata dalla scelta di governare in deficit. Non si è minimamente curato delle smentite feroci che gli ha mandato in proposito dalle colonne del "Corriere della Sera" un economista prestigioso, Francesco Giavazzi. Adesso Berlusconi non è più un Berlusconi qualunque: è un Berlusconi ferrarizzato, trasferito sulle sponde dell’ideologia. Gassatissimo, superfrizzante, convinto della formula magica iper-neo- conservatrice secondo cui il taglio delle tasse è la premessa e il contenuto della rivoluzione antistatalista. In verità sembra piuttosto un ragionamento da bar, una tipica soluzione formidabilmente semplice a un problema infinitamente complesso. Nei bar se ne sentono spesso, di ricette simili. Si tagliano le tasse e, se proprio si devono tagliare le spese, tanto meglio. Meno spese e meno tasse vogliono dire un’amministrazione più efficiente, più libertà economica e meno burocrazia, imprese nazionali di nuovo dinamiche, investimenti stranieri attratti dal paese di Bengodi, in una meravigliosa catena di effetti spettacolari. Che si tratti di una visione o di un miraggio lo scopriremo presto. Certo, per adesso abbiamo di fronte una situazione diversa. Un taglio delle tasse risicato («È il primo passo», dicono a destra; risposta: crederemo che si tratti del primo passo quando avremo visto il secondo). Una copertura problematica. Una ideologizzazione estrema della Casa delle libertà, vicina alla "voo- doo economics" criticata a suo tempo da Paul Samuelson. I soldi che sbucano "by magic", direbbe Beniamino Andreatta. E nello stesso tempo il recupero di Giulio Tremonti, il superministro incredibilmente lasciato cadere da Berlusconi, uno scalpo offerto alla verifica e alla coppia allora insidiosa Fini-Follini. Nessuno sa qual è l’ideologia di Tremonti, salvo il fatto che è l’esponente più ideologico del centrodestra. Il suo ritorno, come uomo televisivo, comunicatore, vice di Berlusconi, è un marchio di garanzia. Sulla Casa delle libertà si imprimerà un marchio legaiol-populista, e anche colbertian-liberista. Una miscela da new economy del Terzo millennio, con la contraddizione incorporata, chissà quanto omogeneo con la visione semplicemente neoconservatrice di Berlusconi e del suo guru Ferrara. Funzionerà il fritto misto del nuovo Berlusconi? Prima di dire alcunché e al di là della sentenza del Tribunale di Milano, converrà aspettare il 27 gennaio 2005, quando negli stipendi si vedranno i primi effetti della riforma-simbolo del Cavaliere. Perché solo allora si potrà capire se i lavoratori dipendenti italiani avranno visto effettivamente un aumento dei soldi in busta paga. Può darsi di sì, e allora Berlusconi confermerà il recupero osservato nei sondaggi. Ma può darsi anche che non si veda praticamente niente, che l’aumento sia impercettibile. E allora anche tutta l’ideologia del Cavaliere si rileverà un bluff. E com’è noto i bluff scoperti e annullati possono diventare dei colossali boomerang.

Facebook Twitter Google Email Email