Dopo tutte le discussioni sull’antipolitica, e dopo il risultato del primo turno delle amministrative, si tratta di vedere se il centrosinistra può salvare se stesso, il governo, la legislatura, e soprattutto la sua credibilità. La situazione è difficile. E non per un generico rigetto qualunquista della politica in sé, ma per un giudizio ultimativo degli elettori sul governo Prodi e sulla maggioranza parlamentare che lo sostiene. Un elenco sommario dei punti di crisi dell’Unione è presto fatto. In primo luogo, il processo redistributivo varato con la legge finanziaria è stato vanificato dalle imposizioni aggiuntive degli enti locali, in modo che pochi cittadini hanno riscontrato un beneficio diretto. L’obiettivo primario del governo, risanamento dei conti pubblici e rilancio della crescita economica, è stato ottenuto, ma il risultato è stato annebbiato dalla turbolenza interna dell’Unione. Il governo di centrosinistra è stato identificato come il governo delle tasse, al punto che alla fine è passata praticamente sotto silenzio la realizzazione di una misura, il taglio del cuneo fiscale, attraverso il quale le imprese ottengono un vantaggio significativo nel costo del lavoro. Inoltre nei centri di potere economico c’è la sensazione che la rimessa in sesto dei conti pubblici sia un dato astratto. Come ha scritto Massimo Giannini su "la Repubblica" dopo l’exploit di Luca Cordero di Montezemolo, «Confindustria ritiene che quello realizzato dal centrosinistra sia solo un "risanamento contabile", che riflette il riequilibrio dei saldi, ma poggia su un artificio aritmetico e politico: poiché manca il coraggio di abbattere gli aumenti forsennati della spesa pubblica, la riduzione del deficit è garantita solo dall’incremento più che proporzionale della pressione fiscale». Sul piano politico, invece, la quotidianità del centrosinistra è attraversata da nuvole nere. Dall’Afghanistan ai Dico e all’Ici, dal caso Visco ai timori evocati dall’ambiente dalemiano («Non faremo la fine di Bettino», frase che sembra paventare per i Ds una questione giudiziaria incombente). L’Unione non sembra in grado di trovare coerenza quasi su nessun argomento. Gli interessi di parte rendono arduo il cammino delle riforme più incisive, a cominciare dal sistema pensionistico. Di qui una sensazione di incertezza, se non di impotenza, che si trasmette all’elettorato, tanto da configurare sondaggi catastrofici. Si può uscire dall’impasse? Prodi punta su tempi dilatati, convinto che alla lunga la crescita si farà sentire e recherà benefici a tutta la società italiana. Ma è chiaro che se il governo non riesce a far percepire una tonalità efficace nella sua azione complessiva, ogni conseguimento parziale, ogni riforma, tutti i provvedimenti appariranno frammenti sparsi e incoerenti, che non si integrano in un progetto riconoscibile. Questo "effetto Brancaleone" potrebbe essere sterilizzato se il governo fosse in grado di comunicare con chiarezza una serie limitata di punti programmatici, da perseguire in un arco di tempo ragionevole. In primo luogo la riforma elettorale, per uscire dal vicolo cieco del "Porcellum" e dai contraccolpi del referendum (che finora rappresenta l’unica chance per battere l’immobilismo dei partiti). Subito dopo, una riforma delle pensioni in cui l’aspetto dei tagli ai rendimenti futuri venga compensato da un sostegno ai trattamenti più bassi: sotto questa luce, l’ipotesi, variamente circolata, di una specie di "quattordicesima mensilità" per le pensioni minime, potrebbe avere un impatto psicologicamente più forte sulle fasce di pensionati di reddito meno elevato. Un’ulteriore spinta al processo di liberalizzazione (sull’energia, nei servizi pubblici o semipubblici locali, superando le secche in cui sembra finito il progetto Lanzillotta) conferirebbe un peso molto maggiore all’azione dell’esecutivo, dando corpo a un intervento questa volta strutturale e non congiunturale sull’economia. Infine, resta il tema politico di fondo, quello del Partito democratico. Finora si è assistito a una serie di bizzarrie, come la costituzione del comitato per l’elaborazione delle regole dell’assemblea costituente: 45 persone per stendere un regolamento, record stagionale. All’orizzonte c’è un’alternativa drammatica: o il Pd diventa l’occasione anche politicamente cruenta di un rinnovamento della classe dirigente del centrosinistra, oppure finirà nel discredito generale. Con il governo che apparirà una tecnocrazia logora, e il centrosinistra una partitocrazia sfinita. C’è ancora poco tempo, tanto vale provarci.
07/06/2007