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Il governo della forza d’inerzia

07/03/2002

Non appena si ritrova fra i suoi, nel calore di un incontro con gli uomini di Forza Italia, Silvio Berlusconi fa il pieno di entusiasmo. Già: fra quei ragazzi in blu si respira un clima molto diverso rispetto a quello dei corridoi romani. Non serpeggiano gli scetticismi capitolini, e nemmeno i cinismi e i frondismi da ristorante al Pantheon. Basta osservare ciò che è avvenuto al consiglio nazionale di Forza Italia, riunitosi di recente all’ex ospedale Santo Spirito. Di fronte al nucleo ristretto del suo partito, Berlusconi ha lanciato il suo proclama: «Noi stiamo cambiando l’Italia». Bisogna dire che i membri del parlamentino forzista sono tutta gente già convinta, che non avrebbe bisogno di essere confermata nella fede dalle parole del capo. E in secondo luogo che il cambiamento continuamente annunciato tarda a farsi vedere: l’imposizione fiscale non dà segni di calo, le grandi opere sono in lista d’attesa, il «miracolo italiano» è stato rinviato per colpa del ciclo internazionale, e la tenuta del paese si deve al risanamento realizzato dall’Ulivo. Ancora: per quanto riguarda il controllo del potere (vedi il consiglio d’amministrazione della Rai) il centrodestra ha realizzato una prestazione deprimente; mentre sul tema simbolico dell’articolo 18 il governo non sembra avere chiaro se intende perseguire una logica thatcheriana oppure seguire lo schema concertativo. Quindi mentre Berlusconi annuncia lo straordinario cambiamento in corso, in realtà il suo consenso si basa sull’immobilismo. Non è chiarissimo se c’è un legame di causa-effetto, cioè se il Cavaliere incassa sondaggi favorevoli proprio in quanto il suo è il governo della forza d’inerzia. Ma che sia vero o no che gli italiani rilasciano il loro plebiscito quotidiano pro Berlusconi perché lo considerano ininfluente per il paese, resta l’altro dubbio: per quale ragione il capo del governo proclama gli effetti speciali, quando gli effetti sono così normali? Evidentemente la dimensione pubblicitaria è consustanziale a Berlusconi. Ai tempi del lancio delle sue reti televisive, si poteva assistere all’impegno smodato di testimonial che magnificavano i programmi del Biscione, mentre nella realtà la tv berlusconiana era un catorcio di comici decaduti, soubrette sfinite, cantanti riesumati. Ciò malgrado, a forza di ripetere che quella era la migliore tv del mondo, e che quegli show erano fantastici, è stato ottenuto perlomeno il risultato di trascinare la concorrenza Rai al proprio livello. Ora, Berlusconi è impegnatissimo a convincere l’opinione pubblica che fare le corna è un modo per guadagnare simpatia internazionale, che "non alzare le tasse" è stato un miracolo, e naturalmente che l’uso privatistico della legislazione è un comportamento da statisti. Lo ripeterà in mille modi. E alla fine il dramma più autentico è che non ci crederanno solo gli italiani, per stanchezza o per conformismo. Ci crederanno i suoi, e vabbè. Ma, quel che è peggio, ci crederà anche lui.

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