gli articoli L'Espresso/

Il governo Letta-Letta

10/04/2008

Largo al governo del pareggio, l’ultima trovata inciucista, con Walter Veltroni, il buonista, che continua a ripetere correttamente che chi ha un voto in più governa, altro che storie, e il Cavaliere trionfante, che ha assunto la veste del padre di famiglia preoccupato, e predica sobrietà quasi prodiana, pronto, secondo un pesce d’aprile, a cooptare Massimo Cacciari e Mario Monti. Già, il filosofo sindaco di Venezia, magari con barzellette annesse: «Com’è tua moglie a letto?». «Mah, c’è chi ne dice bene, c’è chi ne dice male…». Mentre in realtà questo è il momento dell’incertezza, ed è per questo che vengono fuori le strategie che una volta si sarebbero dette, da destra, "consociative". Il governo meraviglioso, secondo l’area terzista e compromissoria, degli ottimati, dei poteri forti, delle stupende leccate reciproche. Gianni Letta, un uomo di Stato! Enrico Letta, suo nipote! Il governo Letta-Letta, che sciccheria mondana! Da far fremere le Angiolillo e le Verusio, e i salotti e i party e gli happy hour, in un tripudio bipartisan. Eppure come si può dimenticare che è sempre la solita storia del "governo dei migliori"? Quella che periodicamente rispunta fuori in un paese che non vuole saperne di conflitti, regolati o no, e che preferisce il concordato, i lodo, il compromesso più o meno storico, la solidarietà, la garanzia, quell’area, come scrisse ripetutamente il bocconiano Mario Monti, corteggiato da Veltroni e indicato da Berlusconi, che ha ben presente quali sono le riforme da fare, al di là della destra e della sinistra. E mai nessuno che ricordi che il governo dei migliori, come scrisse ripetutamente Norberto Bobbio, «è una vecchia truffa reazionaria». E, se non si vuole essere accusati di ideologia, o di sinistrismo, di radicalismo deteriore e di mancanza di patriottismo e di identità nonché di orgoglio nazionale, occorrerà ricordare che non ci sono ricette condivise. Queste sono astrazioni. Si potranno condividere vaghe idee sulla riforma liberale del mercato del lavoro, o sulla riforma delle aliquote fiscali, ma poi ogni misura va parametrata sui dettagli. E sui dettagli casca l’asino. Sempre. E allora bisognerà spiegare, se proprio ci fosse la disgrazia del pareggio, che Berlusconi è stato ingordo, non ha avuto la pazienza civile di impegnarsi in una semplice riforma elettorale. E quindi, chi è causa del suo mal, con quel che segue. Insomma, se esce il segno del pareggio, altro che pensare ai Montezemolo, ai Marchionne, agli ottimati: non possiamo immaginare che l’unica soluzione per l’Italia è il governo di Dagospia. (O forse sì: ma allora ditelo, e che non sia solo un gossip elettorale).

Facebook Twitter Google Email Email