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Il leader è nudo

06/01/2005

Dentro una crisi nera, nel cuore di una notte fonda, i membri del club prodiano si fanno forza a vicenda. Hanno capito, forse tardi, che la partita è molto impegnativa, coinvolge poteri più o meno forti che pianificano scenari o intercettano opportunità estemporanee. Sullo sfondo della défaillance del centro-sinistra, dopo il fallimento della lista unitaria alle regionali, ci sono spinte che possono alterare il formato stesso della competizione bipolare. Il re è nudo. L’uomo senza vestiti è Romano Prodi. Era tornato da Bruxelles accompagnato da una scia di consenso. Convinto di poter modellare il centro-sinistra come un’alleanza larga, in cui la presenza dei partiti fosse un elemento supplementare, non il fattore fondativo. Qualcosa sta andando storto. Questa crisi viene da lontano. Appartiene alla storia di forze politiche stravolte dalla grande tragedia antipolitica degli anni Novanta. Nell’emergenza, molti avevano pensato che il progetto ulivista potesse surrogare il ruolo dei partiti, sostituendo con la progettualità riformatrice culture politiche che erano state triturate da Tangentopoli. Non era o, meglio, non è così. A dispetto della post-politica, la crisi del centro-sinistra è una crisi politicamente profondissima. Prodi si presenta come una personalità e un principio di sintesi che tiene insieme centro e sinistra, ossia una cultura riformista non socialista e il gradualismo postcomunista. Ma non appena sono riemerse le identità, sono riapparse anche le pregiudiziali. Secondo l’entourage prodiano, Rutelli e Fassino costituiscono una morsa micidiale, l’uno che coltiva la Margherita come soggetto distintivo, l’altro che intende attribuire ai soli Ds lo slogan "l’Ulivo siamo noi". Singolare parola, pregiudiziali. Figlia di un lessico da prima Repubblica. Tuttavia chi dimentica il passato è condannato a replicare in commediola ciò che fu dato in tragedia. E oggi, dietro il modesto cabotaggio delle candidature, fa sentire il suo effetto la "radiazione fossile" della discriminante anticomunista. Prodi (con i suoi consiglieri, a cominciare da Arturo Parisi) è convinto che le divisioni del passato possono essere superate soltanto attraverso una mobilitazione collettiva dell’elettorato e dell’opinione pubblica. Ma non appena i naturali egoismi di partito riemergono, affiorano anche le incompatibilità del passato, le antipatie culturali, le idiosincrasie. Immaginare oggi un percorso che porti alle elezioni politiche del 2006 attraverso una mediazione continua, una trattativa perdurante, un negoziato estenuante equivarrebbe ad accettare l’idea di una sconfitta per forza d’inerzia. Tocca a Prodi trovare la via d’uscita. Tocca a lui dimostrare la qualità di una leader?ship. Che, proprio in quanto non è una investitura celeste, deve misurarsi anche con le miserie dei corridoi politici. Ci vuole l’umiltà di riconoscere ruolo e sostanza delle strutture di partito. Occorre il realismo necessario per accettare che gli spezzoni di classe politica facciano sentire il loro peso. Ma è urgente anche la definizione di un sentiero che porti l’intera coalizione a un confronto competitivo con la Casa delle libertà. In questo senso, c’è una sola strada per il Professore. Drammatizzare. Accettare il fatto sacrilego che la sua leadership sia a rischio. Approfondire il conflitto, scegliendo il terreno dove il conflitto va praticato. Eventualmente giocare la carta brutale del "partito di Prodi". E con questo cambia tutto. Non c’è una discesa comoda, una stradicciola senza ostacoli che conduce alla vittoria elettorale agevolata dalla cattiva prestazione del governo Berlusconi. La risorsa essenziale di Prodi è che nessuno può permettersi di sostituirlo? Benissimo: e allora tanto vale mettere a frutto la crisi. Rilanciare. Da una parte c’è un centro-sinistra invischiato nelle trappole che si crea da solo; dall’altra un progetto di medio periodo che accetta la crisi per superarla. Non sono tempi normali. Se la leadership ulivista non riesce a cogliere l’aspra opportunità di questa crisi, avremo un Ulivo normale, amorfo, ameboide. Cioè inutile. Tanto vale provare a essere vivi.

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