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Il Leghicidio

03/05/2001

Umberto Bossi sembra una biscia in muta: se ne sta quieto, come succede agli arrabbiati che si sono guadagnati la pensione, e se nel caffè sotto casa si scatenano dibattiti al massimo si concede visioni planetarie, scenari geopolitici, panorami economici globali. L’America, l’Europa, le multinazionali, lo scontro delle civiltà. Quando scende dalla stratosfera e si permette qualche pensiero sul cortile domestico, si limita a qualche mormorio per dire che Berlusconi è una persona perbene, e prova a fare la voce roca contro i nani nazisti per segnalare che il grande Nord non cederà alle controrivoluzioni romane. Intanto però il referendum formigoniano è evaporato, nei paesi sulle colline i gazebo della Lega sembrano tempietti della nostalgia, la soglia del 4 per cento fa paura, e serpeggia una domanda fastidiosa: ma tutta quella brava gente che si aspettava chissà che dal Carroccio, che cosa pensa e si aspetta adesso? Per ciò che si vede, i leghisti sono un’appendice della Casa delle libertà. Le esecrazioni di Rutelli sulle infezioni haideriane del movimento sono perfino troppo vocali. Al momento buono, a Berlusconi basterebbe una veloce letterina di sfratto per togliersi di casa l’inquilino molesto. L’Umberto non può nemmeno più sostenere di appoggiare il vecchio Berluskaiser per portare a casa il federalismo, visto che ormai la questione federalista è finita in coda alle priorità percepite dall’opinione pubblica. Incasserà i parlamentari contrattati con il Cavaliere, ma poi? A Berlusconi sta riuscendo il leghicidio tentato alla fine del 1994 e fallito nel 1996. E Bossi non ha molte carte: se urla, irrita i moderati; se si modera, sfiora l’irrilevanza. Deve aspettare un’occasione e buttarcisi dentro. Sempre ammesso che le occasioni non siano fuggite tutte, e che la Lega non sia destinata ad annegare nella stessa acqua in cui è nata.

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