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il sogno di walter

14/02/2008

Aiuto, tutti in trincea, arriva la carica dei 25. Oppure chissà, dei 17, o almeno dei 14. Insomma i partiti della "Invencible Armada" del Caballero. «Tutta raccolta sotto l’ombrellum del Porcellum», ghignano nel quartier generale di Walter Veltroni. E noi proviamo a trasformarla in un’armata Branca, Branca, Branca, Leon, Leon, Leon! Segue fischio o pernacchio, a piacere, e infine il botto canonico: buuum. Sarà la tipica voluptas dolendi della sinistra, ma il vertice operativo del Partito democratico, riunitosi martedì sera con cinque agenzie di comunicazione per avviare la campagna di Veltroni, sembrava una gang di futuristi pronti ad assaltare il palazzo della Tradizione. Brain storming, ragazzi: fuori le idee per affrontare la macchina da guerra del Cavaliere. Innanzitutto. La sobrietà e «la serietà al governo» ce le siamo già giocati una volta, con Prodi e Padoa-Schioppa, e quanto è bello anzi «bellissimo» pagare le tasse. Quella era una politica da anni Novanta. Si è visto che il crollo di consenso del governo Prodi è avvenuto con la prima Finanziaria. Adesso ci vuole un messaggio diverso. «Ma intanto, ancora prima del messaggio», commenta il numero due del Pd, Dario Franceschini, «bisogna vedere come arriviamo alla decisione strategica per il Partito democratico, cioè correre da soli». Vale a dire? «Be’, possiamo arrivarci con una bella discussione nel Pd, e una conclusione unitaria, oppure anche prendendoci a cazzotti e colpi di vanga. Per una volta sarebbe il caso di non farci del male da soli». Sottinteso: urge telefonata a Rosy e ad Arturo, nel senso di Bindi e Parisi, i pasdaran dell’alleanza larga fino a Rifcom. Intanto però si smorzano i toni, e il protoprodiano Giulio Santagata concede: «Al punto in cui siamo, ho anch’io l’impressione che non resti che correre da soli». Schema della partita. Noi siamo qui per provare a rivoluzionare la politica italiana. Non è retorica. Lo ha fatto capire Walter nel discorso del Lingotto, lo ha detto chiaramente Franceschini seguendolo a ruota. Rivoluzione. Significa dire addio ai dogmi. Si dovrà fare una buona difesa per proteggere il lavoro di Prodi, visto che Berlusconi ha già fatto capire che la campagna dell’"Armada" delle libertà sarà tutta rivolta contro il governo dei venti mesi: «Romano è il nostro atout», ha ripetuto il Cavaliere. Prodi come un punching ball da colpire gratis per tutta la campagna. Eppure, sostengono i "democrat", c’è stato un certo recupero nell’opinione pubblica, grazie a una gestione della crisi dignitosa, a testa alta: «Questa volta gli italiani hanno visto in faccia chi ha fatto cadere il governo: è un passo avanti», ha detto agli amici Arturo Parisi. Ma questo è il passato. Se vogliamo scommettere sul futuro dobbiamo seguire il ragionamento di Walter. Berlusconi è il vecchio. L’"Armada" è proprio la politica che non vogliamo più. Un esercito accozzaglia. «Passano i cavalli di Wallenstein, passano i fanti di Merode, passano i cavalli di Anhalt, passano i fanti di Brandeburgo, e poi i cavalli di Montecuccoli», recita Franceschini, che è un letterato e uno scrittore di romanzi (vedi il realismo magico di "La follia improvvisa di Ignazion Rando"), citando il transito delle truppe imperiali nel trentesimo capitolo dei "Promessi sposi". Il nuovo siamo noi. Il Partito democratico. Non c’è da lasciarsi stordire dai sondaggi dei berluscones perché presuppongono un automatismo del passaggio fra sinistra e destra di un elettorato deluso. E invece i cittadini si troveranno di fronte la più grande novità politica dopo l’invenzione di Forza Italia. «Ricordate? Con la "scesa in campo" del 1994 Berlusconi portò il suo partito da zero al trenta per cento in sei mesi: il che vuol dire che non è vero che l’elettorato sia immobile». Se è per questo, non è statica nemmeno la politica: Giovanardi va via dall’Udc e si iscrive al Partito del popolo delle libertà, che non esiste ancora, Adornato e Sanza passano da Forza Italia all’Udc, Tabacci e Baccini fondano la Rosa bianca (e Fini, con il solito "esprit de finesse" postfascista: «È un crisantemo»). E a Bologna alcuni della lista civica guazzalochiana cominciano a guardare al Pd, se magari mollasse Cofferati, «perché non siamo di destra». Sì, ma noi, sostiene Walter, «dobbiamo comunicare un messaggio innovativo: l’idealismo pragmatico, la forza dei sogni». Ed Ermete Realacci, il responsabile della comunicazione del Pd, rispolvera il suo slogan storico: «Dobbiamo far capire che il Pd vuole bene all’Italia». In pratica, come dice l’antemarcia Michele Salvati, uno dei padri fondatori del Pd, si tratta di far venire fuori anche da noi il «realismo utopico» di Tony Blair. Il «centro radicale» teorizzato dall’ideologo del New Labour Tony Giddens, aggiunge Marco Follini, che sulle pagine del "Riformista" vede rinascere proprio il centro. E non dimenticate, aggiunge lo staff di Veltroni, che i sondaggi andranno misurati più avanti. Adesso le indagini demoscopiche misurano più che altro l’irritazione per Visco e le tasse: è la protesta anche degli evasori messi nell’angolo, non soltanto dei pensionati poveri e delusi, anche se nel frattempo il ceto dirigente si è convinto che la bonifica dei conti è stata fatta ed è mancato solo il tempo di realizzare un po’ di redistribuzione decente. Ma fra qualche settimana, i sondaggi misureranno anche il gradimento per il centrodestra e i suoi uomini di punta: e allora, di fronte alle facce note di Gasparri, di La Russa, di Fini nel suo impermeabile alla tenente Sheridan, dell’infallibile Tremonti, e del reduce europeo, il commissario Frattini già candidato al ministero degli Interni, qualcuno si domanderà se è davvero tutta qui, la novità. E poi, non era stato proprio Fini, poche settimane fa, quando la Casa delle libertà era un «ectoplasma», ad attaccare Berlusconi perché ai suoi occhi era un signore troppo anziano? Può anche andare male, per carità, non siamo mica Superman. Ma intanto il Partito democratico deve fare un gioco di prestigio. Rovesciare la partita. Farsi rincorrere. Puntare tutto sull’innovazione. In primo luogo, dobbiamo attirare il capo della destra sul nostro terreno: vieni avanti, Cavaliere, perché non ce la battiamo ad armi pari? Perché non rinunci alla tua "Armada" e non ce la giochiamo fra i nostri due partiti? Non hai voluto fare la riforma elettorale, e questo è stato un grave peccato di gola, e allora pratichiamo la virtù politica nei fatti, uno contro uno, e chi prende più voti governa. Certo che Berlusconi non ci sta, è ovvio. È sempre lì che inziga per seminare zizzania: prima lascia che il "Giornale", quotidiano ufficiale, con articolo del suo direttore Mario Giordano, non l’ultimo dei praticanti, lanci l’idea della grande coalizione Berlusconi-Veltroni prima delle elezioni. Poi sussurra che il suo futuro governo potrà offrire qualche ministero anche al Pd. Infine lascia circolare la nuova linea, solo i quattro fondatori nel suo schieramento. La sensazione è che allo stesso Berlusconi la sua "Armada" non piaccia in fondo più di tanto. E poiché, novantanove su cento, il Cavaliere si ritirerà nel tepore della sua alleanza, da Storace a Casini, noi attaccheremo: l’"Armada" è un coacervo di mercenari. Fra l’altro, si è sentita, in venti mesi, una sola proposta politica del centrodestra, che non fosse la ribollita "Prodi se ne deve andare"? E allora il Pd deve fare una proposta politica fortissima, prima ancora che studiare gli accorgimenti tecnici per correre da solo "ma anche" accettando alleati che sottoscrivano il superprogramma. E il primo punto del programma non va neanche scritto, è dato dall’impegno "on the road again". Di nuovo sul pullman, come nel 1996: «Voglio andare in tutte le province d’Italia, nessuna esclusa». Una campagna furibonda ma tutta in positivo, a cominciare dai volti. Non appena scatterà la competizione, dovrebbe venire fuori la squadra, il governo snello con il programma stringato. «E a quel punto», dicono gli assistenti di Walter in Campidoglio, «ci si potrebbe divertire». Le bocche restano cucite, ma nelle ultime settimane sono stati troppi i vezzeggiamenti di Veltroni a Luca Cordero di Montezemolo. «Per questo giro mi tengo fuori», ha confidato il presidente uscente di Confindustria, ma il flirt è bastato per far balenare l’idea di un governo "all star". E soprattutto per trasmettere il concetto che il Pd proporrà un programma iper- riformista, fortemente modernizzatore. Ci sta lavorando Enrico Morando, che ha chiamato a raccolta l’intellighenzia "liberal" degli Ichino e dei Boeri. E nel «partito nazione» descritto da Alberto Reichlin si delineerà un interclassismo che va dai lavoratori al mondo della ricerca fino agli imprenditori. Già, resta solo il problema della corsa a handicap, con la destra avanti almeno dieci punti. Risposta: ma allora siete fissati. Adesso i sondaggi fotografano i partiti. Ma se cominciamo a immaginare una competizione in cui agiscono tre grandi blocchi, cioè l’"Armada" della destra, il Pd con Di Pietro, e la sinistra-sinistra, i numeri cominciano a cambiare. Gli "obamisti" del Pd, quelli che scommettono sull’effetto Obama, giurano che fra un mese i conti saranno tutti da rifare. Gli scettici, i prudenti, gli increduli e i pessimisti si stringono nelle spalle: bene il mondo nuovo di Walter, l’iperspazio politico, i forum tematici su Internet. Ma se va male, se ci siamo giocati l’eredità, se non riusciamo a mobilitare ancora una volta sul territorio i vecchi compagni, i volontari delle Feste dell’Unità e il ceto della post-sinistra dc, e se poi frana il Sud, in seguito alla crisi dei rifiuti e al "bandwaggoning" delle clientele, tutti sul carro dei vincitori annunciati, siamo fritti. Fritti. A meno che… Sì, a meno che, ti dicono con un sorrisetto certe vecchie lenze di partito, certi trafficanti di nomenklature antiche, a meno che la "poison pill", la pillola con cui Calderoli ha avvelenato al Senato la vittoria dell’Unione nel 2001, non produca l’ultimo effetto, impedendo la vittoria anche all’ultimo giro di flamenco del Caballero. E insomma: ride bene chi ride ultimo. n

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