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Invasioni poco barbariche

26/05/2005

Se uno fa un programma che si chiama "Le invasioni barbariche", vuole dire che da qualche parte ci dovrà essere l’Impero. Sarà il duopolio, questo Impero? Sarà "Porta a Porta"? Ci sarà qualcuno, nella gibboniana Rai, "decline and fall of", ovvero nella potente Mediaset, che avrà nominato conduttore un cavallo? Comunque del programma di Daria Bignardi hanno parlato male praticamente tutti, sicché la tentazione di uscire dal coretto è inevitabile. A tutto sappiamo resistere, fuorché alle "Invasioni". Primo perché essa Bignardi è cambiata: chi guarda la sua trasmissione su La7 per ritrovare la conduttrice del "Grande Fratello" rimane ovviamente deluso, almeno se sperava di trovare la sorellastra cattiva, o la precettrice da beati anni del castigo, da immaginare in clamorose tenute bdsm. Macché, queste sono fantasie impraticabili, perché il nuovo programma è decente. Cose più, cose meno. Funzionano meno le interviste tipo roba da Mtv, come una fiacca e pretenziosa conversazione continuamente interrotta con il cantante Biagio Antonacci (figurarsi, uno che rompe la coppia che componeva con figlia di noto eterno ragazzo e intanto pubblica un disco intitolato: "Convivendo"). Ma ciò che invece funziona di più, nelle "Invasioni", è il tono. L’idea è naturalmente quella di tutti i facitori di programmi e di giornali, l’alto mischiato con il basso e il crudo con il cotto, secondo le migliori ricette degli antropologi, ma nel programma della Bignardi, l’asset è la Bignardi. Gli altri altobassisti non ce l’hanno una conduttrice capace di mettere insieme oggi un’intervista alla zia Rosy Bindi e domani un incontro con Alessandro Piperno, quello delle "Peggiori intenzioni" (che oltretutto si rivela subito di impressionante simpatia, o capacità mediatica, fate voi). Oppure, oppure, la migliore intervista che sia capitato di vedere negli ultimi tempi, quella a Laura Dolci, vedova del funzionario dell’Onu Jean Selim Kanaan, morto in un attentato a Baghdad, e capace di produrre una rara prestazione di ragione umana e consapevolezza civile e culturale. Mitigato il look, la Bignardi tiene la misura, non invade, non eccede, non straripa. Sembra sempre sul punto di dire qualcosa di tremendo e invece poi "rientra", non derapa: alla fine, lei e il programma hanno una buona tenuta.

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