A raccontarlo non ci si crede. Soltanto in un non-mercato come quello del sistema televisivo italiano poteva accadere che uno dei due rami dell’oligopolio, Mediaset, acquisisse dagli spagnoli di Telefonica la struttura creativa e produttiva, Endemol, che fornisce i programmi di massimo ascolto della Rai. Regala anche alcune patacche, per la verità, tipo "Colpo di genio": ma in qualsiasi arena di mercato, in altri settori economici, una qualche autorità antitrust avrebbe acceso fari e faretti sulla transazione, a causa di un intreccio anticoncorrenziale fin troppo evidente. Invece il settore televisivo assiste con stupore ammirato e comunque senza troppo scandalizzarsi a un’operazione che non si sa come definire: endogamia televisiva, intreccio incestuoso fra soggetti che dovrebbero essere in concorrenza, proliferazione di conflitti d’interessi che nessuna norma e nessuna agenzia di controllo sembrano ormai in grado di correggere, a dispetto dei progetti di ridisegno del sistema tv e delle norme sul conflitto d’interessi. A cui si aggiungono veli di ipocrisia, e aria di superiorità internazionale rispetto ai ragionamenti da cortile di casa, quelli che chiamano in causa la politica nostrana. Perfino il direttore generale della Rai, Claudio Cappon, che minimizza, per prudenza: «Basta con questa impostazione tutta domestica, l’Italia è solo uno dei 25 paesi dove opera Endemol». Ora, che il mercato televisivo sia una finzione giuridica e politica dovrebbe essere fuori discussione. Ma registrare le parole di Piersilvio Berlusconi e Fedele Confalonieri che garantiscono che Endemol resterà un’entità autonoma, attiva e florida grazie alla propria creatività, completamente libera nell’azione e rispettosa del rapporto con la Rai, provoca un’impressione singolare: non dissimile, in fondo, dall’effetto che hanno sempre provocato gli spergiuri con cui Silvio Berlusconi è abituato a garantire che le reti Mediaset operano liberamente, in modo perfettamente autonomo dalla politica e dalla sua volontà. Anzi, talvolta premurandosi di aggiungere, con un tocco da fuoriclasse, che l’informazione Mediaset, i telegiornali, le rubriche e i talk show sono covi della sinistra. Tuttavia si può anche prescindere per qualche momento dal timore che Mediaset diventi padrona di spazi e quote di ascolto, nonché di pubblicità qualificata, della Rai. È vero che la libertà creativa e l’autonomia della futura e mediasettizzata Endemol dipendono esclusivamente da un atteggiamento discrezionale di Mediaset; ma non è il caso di sottilizzare, dicono le parti più interessate, e neppure di nutrire sospetti preventivi. Sarà per questo che il capo del governo di centrosinistra, Romano Prodi, ha assunto una posizione di serenità sovrana, caratterizzata dall’ottimismo sulle sorti dell’emittente pubblica e da un atteggiamento politicamente generoso verso l’altro ramo del duopolio: «Vedo con favore il rafforzamento di un’azienda italiana, che in questo modo incrementa anche un certo tipo di esperienza e di conoscenza». Mentre il ministro delle Comunicazioni, Paolo Gentiloni, ha parlato dell’acquisizione di Endemol come di un successo, «la spinta verso la diversificazione di un settore, che noi dobbiamo incoraggiare». A sua volta, Pier Luigi Bersani non si è mostrato preoccupato per il rafforzamento di Mediaset, che potrebbe diventare il maggiore fornitore della Rai, in quanto «l’azienda Rai farà autonomamente le sue scelte». Ottimo. Da quanto si capisce, i vertici di Mediaset e Fininvest si preoccupano di certificare con belle dichiarazioni pubbliche che Endemol resterà un soggetto autonomo, che non ci sarà nessun contrasto con la Rai per ciò che riguarda programmi popolari come "Affari tuoi" e di successo cult come "Che tempo che fa" di Fabio Fazio, e che "La prova del cuoco" e programmi affini resteranno un patrimonio di audience della tv pubblica. Anzi, per ciò che riguarda proprio il programma di Fazio, Berlusconi junior ha dichiarato ad Antonio Dipollina de "la Repubblica": «Per Fabio non cambierà nulla. Il produttore non sarà Berlusconi Silvio, ma sempre Endemol guidata solo da logiche di mercato. Mi piacerebbe chiamarlo al telefono, sento che ci faremmo due risate cordiali. Non solo: ne approfitto per dire a Fazio che se ha qualche idea per i contenuti mi piacerebbe poterne parlare». Uno spirito polemico potrebbe concentrarsi su queste affermazioni e rilevare semplicemente che esse prescindono da qualsiasi logica fattuale. Sono parole. Peggio, sono il riconoscimento a priori che in futuro l’azione di Endemol, cioè in ultima istanza di Mediaset, dipendono esclusivamente da un’intenzione benevola della dirigenza berlusconiana. Il che non sembra deporre a favore del funzionamento razionale del mercato. Anzi, si configura una specie di privatizzazione ermafrodita, in cui tutto appare affidato a decisioni discrezionali, alla buona disposizione di spirito delle reti Mediaset. A una visione oggettiva, o anche solo banalmente empirica, del mercato televisivo, si tratta a prima vista di una mostruosità funzionale; in secondo luogo, che le autorità di garanzia non siano in grado di intervenire né di spendere una parola su un caso così plateale di ulteriore distorsione della concorrenza costituisce un nuovo straordinario capitolo del pasticcio televisivo all’italiana. D’accordo, siamo nella terra e nell’epoca del capitalismo matrioska. Ma che Mediaset si ritrovi felicemente incinta di spazi, programmi e contenuti della sua concorrente Rai bisognava ancora vederlo. Anche perché, come ha rilevato Marco Mele su "Il Sole-24 Ore" all’indomani della transazione con Telefonica, «quest’accordo, piuttosto, mostra un servizio pubblico più debole, a parte i flop di ascolto e il pasticciaccio brutto della governance. Mediaset si diversifica e s’internazionalizza a un passo ben diverso dalla immobilità della Rai». Sono considerazioni che trasferiscono l’attenzione dal caso Endemol al deficit strutturale della Rai. Deficit di iniziativa, di ascolti, di rinnovamento tecnologico, di strategie di mercato. Sempre secondo "Il Sole-24 Ore", Mediaset «digitalizza più frequenze, entra nella pay per view – e da fine anno forse anche nella pay tv – e in nuove nicchie di mercato (l’home shopping, i canali per bambini) con il digitale terrestre, realizza una rete mobile in Dvb-h» (cioè basati sulla tecnologia che consente di spedire pacchetti di tv via Internet sulla telefonia cellulare). Di fronte all’attivismo di Mediaset, l’immobilismo della Rai «ingessata» si staglia quindi come un problema nazionale. Mentre Berlusconi corre, l’emittente pubblica arranca, sfiancandosi in diatribe di bassa macelleria politica. Dice Pier Luigi Celli, storico ex direttore generale della Rai, ora a capo della Luiss: «Mentre alla Rai si sono rosolati per mesi per trovare il modo di sostituire il direttore di RaiDue Antonio Marano, Mediaset ha comprato il colosso mondiale dei contenuti. Lo squilibrio è tutto qui». Già: un consiglio d’amministrazione indebolito dal rinvio a giudizio dei membri di centrodestra in seguito al caso Meocci (l’ex direttore generale dichiarato incompatibile, con il codicillo della multa di 14,3 milioni alla Rai); un consigliere, Angelo Maria Petroni, sfiduciato dal ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa ma sostenuto a lame roventi dai berluscones; il direttore Cappon alle prese con le nomine bloccate, le strategie frenate, gli ascolti calanti, una serie di flop da rasentare l’assurdo, dalla Ventura a Funari. E ora il blitz clamoroso di Mediaset. Ce n’è abbastanza per sollecitare misure della massima urgenza. «Macché urgenza, qui siamo al dramma», replica Celli: «Se circolasse un po’ di buonsenso, si approfitterebbe dell’affare Endemol per cambiare marcia. Fare piazza pulita e impostare una strategia seria dal punto di vista societario, aziendale e industriale. Vale a dire che risulta ormai indispensabile differenziare funzionalmente la Rai, separando il cosiddetto servizio pubblico, affidato al canone, da una Rai commerciale, in grado di stare sul mercato. Da una parte una tv "minolizzata", per capirci, e dall’altra una entità televisiva finanziata dalla pubblicità. Altrimenti, continuare a far gestire la Rai da ex politici significa consegnarla al fallimento». Sono le linee tradizionalmente care a Celli e che ora vengono riprese concettualmente nel complesso edificio giuridico preparato dal ministro Gentiloni, che intende ridisegnare la struttura, le funzioni gli obiettivi editoriali e la governance della Rai. Resta da vedere se i tempi della politica sono compatibili con l’urgenza impellente della riforma. Se è vero che la tv pubblica è sempre stata lo specchio del potere, capace di anticipare conflitti, compromessi, passaggi e scambi, il caso Endemol sembra dimostrare che gli affari stanno battendo la politica. E che un ramo del duopolio sta occupando spazi che la tv pubblica lascia scoperti. Avanti di questo passo e la Rai diventerà una parte residuale del sistema. Appesantita, senza progetti, senza prospettive di competitività. E con una sola missione autentica e riconoscibile: quella di permettere ai partiti e ai leader di continuare a specchiarsi nel teleschermo. Si diceva che Dio acceca coloro che vuole indurre alla rovina: questa volta l’accecamento televisivo assomiglia molto all’oscuramento. n
24/05/2007