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La resa dei conti

07/09/2000

Approdato domenica scorsa alla Festa dell’Unità di Gallipoli dopo avere risalito di bolina le 27 miglia di mare da Leuca al suo collegio elettorale, Massimo D’Alema ispirava pensieri maliziosi sulla sua nuova carriera di pirata della politica: vita di corsa, alla ricerca di nuove prede, di altri tesori, di ulteriori capitani coraggiosi. Invece il comandante dell’Ikarus ha morso il freno, e dopo avere diagnosticato che il problema non è la forza di Berlusconi ma la debolezza del centro-sinistra si è concesso solo un sovrano: «Non voglio iscrivermi all’accademia dei rancorosi». Niente destino occhettiano, per Baffino. Ma se è vero che i grandi sommovimenti politici, come i terremoti, sono annunciati da modeste anomalie sismografiche, l’indizio di quale sarà il prossimo evento tellurico lo ha dato il suo ex portavoce, Fabrizio Rondolino: il quale in un’intervista a Claudio Sabelli Fioretti su "Sette" si è prodotto in un autodafé distruttivo. La sua insolenza incendiaria ha incenerito un intero catalogo di care memorie: Veltroni, «un uomo di potere e basta», la sinistra italiana, «un ente inutile», Folena, Mussi, e gli attuali collaboratori di D’Alema, un corteo di mediocrità. Quanto a Giuliano Amato, un giudizio inappellabile: «Un vero voltagabbana». Il centro-sinistra si prepari. La sua sorte si chiama resa dei conti. Potrà avvenire a sconfitta elettorale maturata, allorché il sorriso letale di Berlusconi darà la stura a un vortice di recriminazioni e di ambizioni deluse. Ma la resa dei conti potrebbe anche verificarsi prima, con una guerra non dichiarata di tutti contro tutti. E con il rischio che il centro-sinistra attuale, che aveva ricevuto il battesimo della furbizia con l’operazione D’Alema-Cossiga, finisca i suoi giorni ricevendo l’estrema unzione dell’indecenza. Il primo livello della faida riguarda naturalmente il duello per la candidatura fra Giuliano Amato e Francesco Rutelli. Il bizantinismo del "patto" di non belligeranza fra i due non riesce a nascondere che la tregua, posticcia e a termine, è stata siglata in assenza del convitato Di Pietro. Perché il sindaco di Roma ha una possibilità teorica di ricucire con l’ex magistrato; il capo del governo, nemmeno quella. Inoltre Rutelli può mettere sul mercato il successo incassato con la settimana dei papa-boys, e sventolare sondaggi che lo darebbero come l’unico in grado di lottare alla pari con Berlusconi. Dal canto suo, Amato ha due carte da spendere, una pregiata e l’altra leggerissima. La carta buona è la legge finanziaria, con la quale può cercare di spendere in chiave elettorale il dividendo del risanamento dei conti pubblici. La briscolina virtuale è la spinta a una legge elettorale proporzionale, che gli consentirebbe di riaprire una "entente" con Fausto Bertinotti (oltre che di movimentare una parte dei 150 seggi del Nord che con il Mattarellum sarebbero ingoiati dalla Casa delle libertà, con relativa ecatombe di candidati martiri). «Competition is competition», aveva detto Romano Prodi lanciando l’Asinello contro D’Alema. Ma la "competition" fra Amato e Rutelli può avere effetti da incubo all’interno della coalizione. Perché nel loro confronto si rispecchia l’ormai tradizionale irriducibilità fra la concezione ulivista e quella realista di un’alleanza contrattuale fra Ds e centristi. Fra il partito di Veltroni e gli orfani di D’Alema. Fra l’imprimatur sindacale di Cofferati e le frange liberalizzatrici. La scelta rappresenta insomma un passaggio cruciale, tale da lasciare inferocite le fazioni. Tutte già pronte a fare la fronda. E nella prospettiva di una batosta, a scatenare la vendetta. Va da sé che la postazione più fragile dello schieramento è occupata da Pierluigi Castagnetti. Per il segretario dei Popolari si preparano giorni inquieti: se acquista realtà la profezia di Berlusconi secondo cui il Ppi è sulle soglie della sparizione, Castagnetti è atteso al varco non solo dagli ultrà centristi come Ortensio Zecchino, ma anche dalle truppe marsicane di Franco Marini, e dall’ombra di Sergio D’Antoni, mentre il padre nobile Ciriaco De Mita ha già steso il suo epitaffio: «Castagnetti non mi ha deluso per il semplice fatto che non lo votai». Ma nemmeno fra i Ds c’è bonaccia: mentre D’Alema corsareggia con l’aria di chi naviga in mari superiori, e continua a pensare, per il post-catastrofe, al suo "partito personale", si approssima il giorno dei lunghi coltelli in cui Walter Veltroni si troverà schierati contro i supporter ministeriali di Amato (i super-governativi Bersani e Fassino), oppure viceversa i cultori frustrati della "gauche plurielle" come il jospiniano Cesare Salvi e tutta la sinistra interna Ds, incluso Antonio Bassolino inutilmente candidato proprio da Salvi. L’accademia dei rancorosi citata da D’Alema si preoccuperà poi, al momento buono, di presentare il conto ad Arturo Parisi, reo di avere pubblicizzato la scarsa popolarità di Amato rispetto a Rutelli (in caso contrario, il conto a Enrico Boselli, rimasto l’unico a considerare l’attuale premier come uno specchietto socialista, lo presenteranno revanscisticamente i socialisti apparentati con il centro-destra, Martelli, De Michelis e Bobo Craxi). Implacabile, la logica della ritorsione. Ma anche prevedibile in uno schieramento che non ha regole istituzionali per la selezione delle leadership, e che quindi rimane incastrato dentro automatismi oligarchici. Ah, com’è lontana l’America delle contrapposizioni politiche e personali brucianti, risolte dalla catarsi delle primarie. Già, proprio le primarie, con la mobilitazione di leader e di elettorati, di protagonisti e di comprimari. Strano che questa extrema ratio sia evaporata. Perché non c’è tempo, certo, non c’è modo, non c’è metodo, non è aria, e ciò che è reale è razionale. E quindi, per il popolo del centro-sinistra, se il centro-sinistra ha ancora un popolo, non resta che prepararsi ad assistere allo spettacolo delle vendette.

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