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La vita è il mio talk-show

11/01/2001

In principio i due mondi erano proprio distinti: di qua la vita, di là la televisione. Ma alla lunga la separazione è saltata e i confini sono diventati permeabili. La realtà televisiva ha cominciato a inglobare la realtà. C’erano state avvisaglie, come il film manifesto di Peter Weir "The Truman Show", ma si trattava di una storia in cui la finzione coinvolgeva il protagonista ignaro, mentre tutti intorno a lui collaboravano per rendere credibile il mondo artificiale gestito dal deus ex machina mediatico Christof. Adesso i ruoli sono diventati fluidi. Non c’è più nessun innocente al centro dello script: siamo tutti potenzialmente dentro uno schema. È questa la tesi sostenuta da Paolo Taggi, docente alla Cattolica, autore e regista tv, che ha appena pubblicato il saggio "Vite da format. La tv nell’era del Grande Fratello" (Editori Riuniti). Non esiste più l’universo classico. Esiste la "realiticità", un cosmo ibrido tuttora in espansione, in cui il Big Brother equivale al Big Bang, in cui si può essere contemporaneamente spettatori, giudici e protagonisti. Ma non si tratta neppure di un mondo simulato. È un pianeta retto da una «sceneggiatura invisibile», da scoprire nel momento in cui la si interpreta. I suoi protagonisti possono essere gli eroi del "Grande Fratello", che poi tornano nella vita reale, per essere presi d’assalto dai fan (come è accaduto a Marina La Rosa al Motorshow di Bologna) e rientrare nel format televisivo del Maurizio Costanzo Show o di "Buona domenica". Dice Taggi: «La realiticità è per noi l’idea che la televisione si è fatta di una realtà che lei stessa ha creato, oltre lo schermo». Una tv al cubo? «Un PostContinente possibile». Forse un "orbis tertius" borgesiano, tutto reale e tutto artefatto. Altri capisaldi di questo mondo triplo? Di sicuro, scommette Taggi, "Bar": «Un programma svedese che secondo me supera lo stesso "Grande Fratello"»: i giovani protagonisti devono gestire un vero multilocale nel centro di Stoccolma. «C’è il bar, il ristorante, lo spazio dance. I ragazzi abitano al piano di sopra. La vita pubblica del bar viene filmata a colori, con camere nascoste o dichiarate: ma chiunque entri sa che si tratta del bar ripreso in tv. La vita "di retroscena" viene invece raccontata con camere nascoste, anche se dichiarate; alcune, a raggi infrarossi filmano nel buio della notte». Tutto questo in attesa dei naufraghi di "Survivor", della nuova edizione del Gf, e di tutti i loro cloni possibili. Ma nel frattempo si è assistito a continue pratiche parziali della "realiticità". Da "Furore", un karaoke in cui si trasmette «l’insostenibile leggerezza di essere lì», a "Quelli che il calcio", dove Fabio Fazio ha sostituito lo spettacolo calcistico facendo vedere mamme, zie, fidanzate, e praticando con successo "il dosaggio dello stupore". Senza parlare di produzioni come "Chi l’ha visto?", «un film vero che non finisce mai», oppure l’amore da sognare o da rivivere di "Per tutta la vita". Non è più la televisione che si appropria della vita; è la vita che si adatta alla tv. La storia si è disintegrata, rimane solo il programma. E il programma, dice Taggi, siamo noi: se siamo dentro un talk show, meglio saperlo.

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