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Le chiavi di sinistra e le chiavi di destra

23/09/2004

A naso il film di Gianni Amelio "Le chiavi di casa" è un tipico film italiano, di quelli che raccontano un viaggio, le ferie, un frammento di vita senza trama. Nel caso, l’incontro e il viaggio di un padre, Kim Rossi Stuart, con il figlio quindicenne disabile. Ma sull’estetica cinematografica i discorsi sono complicati. Il giudizio sul film di Amelio è stato fortemente influenzato dal punto di vista. Che può essere politico, in chiave di destra e sinistra, oppure più in generale attinente alla filosofia del cinema; e magari dei sentimenti e dell’atteggiamento verso il genere umano. Fatto sta che un critico di sinistra tradizionale come Tullio Kezich si è speso molto sul "Corriere della Sera" per certificare che il film di Amelio meritava il Leone "per coraggio, stile e qualità poetica". Sull’"Unità" Alberto Crespi ha chiarito che ""Le chiavi di casa" non è un film: è un’esperienza di vita che Gianni Amelio ha avuto la generosità di condividere con noi". Sulla "Stampa" Lietta Tornabuoni, a proposito di questo "bellissimo film sul dolore, sul legame fra padre e figlio, sull’approccio alla maturità" ha concluso che è "cosÏ bello, struggente, semplice e forte da poter restare nella vita degli spettatori come un’esperienza vissuta, come un’emozione personale, come una propria memoria". Un capolavoro? Ma no, si dà il caso che ci sia anche una critica di destra. O se vogliamo ispirata al realismo, alle durezze antisentimentali. Quelli che "ci vuole un cuore di pietra per non mettersi a sghignazzare". E se non è di destra è di sicuro una critica molto meno sensibile ai moti del cuore. Sul "Riformista", Michele Anselmi ha usato sei colonne di giornale per non dire se questo film "toccante ma non edificante" gli è piaciuto. Mentre il più carognone è stato ovviamente "Il foglio", cioè l’organo della destra vera, a ciglio asciutto, che prima nel colonnino quotidiano sulla Mostra del cinema ha parlato di "situazione strappalacrime", del "ragazzo disabile nella parte del ragazzo disabile", segnalando con crudeltà che "i ruoli con handicap o con ritardo mentale sono i più amati dalle giurie". E ha commentato tutto questo con un tocco di ferocia critica: "Con tali assi nella manica, perchÈ disturbarsi a scrivere una sceneggiatura?". Sempre sul "Foglio", Mariarosa Mancuso, che magari non sarà di destra ma ha le idee chiare ed è una delle più divertenti scrittrici di cinema, racconta che la copia della pellicola di Venezia o era difettosa oppure era tecnicamente inaccettabile per tutta la prima scena (nella critica di sinistra non se n’è accorto nessuno?). E affonda la pugnalata: "Il resto della sceneggiatura latita. Il regista ha puntato tutto sulla situazione commovente e prevedibileä Risultato: mani spellate e critici commossi". In sintesi. C’era una corrente che esaltava l’umanità del film di Amelio reclamandone a gran voce la vittoria, tanto che Natalia Aspesi annotava: "Non ci sono, pare, vie di scampo. Questa sera il Leone d’oro, nel lusso rutilante del teatro La Fenice, andrà al 99 per cento al "Le chiavi di casa", e non solo perchÈ il film è bello, il regista Amelio lo merita e sarebbe da cinico cuore di pietra non lasciarsi intenerire dall’adolescente disabile che ne è il protagonistaä Quest’assegnazione la pretendono tutti, con accanimento. I critici soprattutto se anziani, gli spettatori soprattutto se facili alla commozione, in blocco granitico la Rai che lo ha prodotto, dal direttore generale ai consiglieri tutti, alla montagna di dirigenti di ogni grado sino all’ultimo dei telecronisti estasiati e singhiozzanti: lo vuole accanitamente Marzulloä Fermissimamente lo vuole il ministro Urbani come se il film l’avesse fatto lui o qualche sua conoscente, ci sperano il presidente della Biennale Croff e il direttore della Mostra M?ller per evitare di essere cacciati dai poteri notoriamente vendicativi". Poi si sa com’è finita, e all’indomani i titoli dei giornali erano significativi: "Lo schiaffo del Leone", "Il superfavorito a mani vuote", "Aria mesta alla Fenice". Sempre a naso, chissà se c’è stata in Italia un’egemonia della cultura di sinistra. Se c’era, dev’essere svaporata, in questa tarda estate veneziana.

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