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l’incognita referendum

09/04/2009

Secondo Silvio Berlusconi, ormai il Pdl è un congegno perfetto. Anzi, più che perfetto, una macchina infallibile per creare consenso. Giunto all’ultimo giorno del congresso di fondazione, ha dichiarato che i sondaggi danno il nuovo partito ormai al 44, forse al 45 per cento. E che l’obiettivo della nuova formazione politica, «il partito degli italiani», consiste nel guardare con audacia, anzi con la «lucida follia erasmiana» che il Cavaliere si è intestato, alla soglia del 51 per cento, la maggioranza assoluta. Forse queste dichiarazioni rappresentano una specie di guerra preventiva. Contro chi? Ma contro la Lega, naturalmente, nonostante tutte le rassicurazioni sull’amicizia con Umberto Bossi. Nel momento in cui con le parole del suo capo il Pdl si qualifica come «partito degli italiani», tutto ciò che resta fuori dal suo perimetro, quindi non soltanto il Pdl e la sinistra, sono ridotti a una preoccupante opacità. Sono tutti problemi risolvibili con la solita politica delle pacche sulle spalle, delle dichiarazioni di amicizia sempiterna e delle pizze notturne insieme? Può essere, ma poi c’è una questione piuttosto seria, ufficiale, concreta, che si prospetta come un ostacolo difficilmente aggirabile: si tratta naturalmente del referendum Segni-Guzzetta (che comporta l’assegnazione del premio di maggioranza alla lista, non alla coalizione, che prende più voti). Perché mettiamo il caso che il referendum facesse il quorum, e venisse approvato; in questo caso il Pdl potrebbe diventare autosufficiente e rendere così superflua l’alleanza con la Lega. Se per evitare questa ipotesi Bossi decidesse di fare cadere il governo, come è già stato ventilato, Berlusconi potrebbe agitare davanti al popolo italiano il vessillo del 51 per cento e correre da solo. Naturalmente questa è un’ipotesi ancora molto teorica, e da questo punto di vista ha avuto ragione Dario Franceschini a insistere sull’election day del referendum con le europee e le amministrative: non soltanto per ragioni di risparmio, quei 400 milioni di euro che gridano vendetta in tempi di crisi economica, ma perché in questo modo il referendum sulla legge elettorale potrebbe diventare un inciampo sul cammino della coalizione di destra. Il referendum diventerebbe infatti un affare molto spinoso per la maggioranza. In primo luogo per la semplice ragione che non si vede come gli ex esponenti di An potrebbero evitare di impegnarsi su un referendum che avevano promosso (Gianni Alemanno ha già spiegato che sarebbe sbagliato tirarsi indietro). Va da sé che ci sono infinite diplomazie possibili, ma c’è anche un limite al ridicolo e al numero delle facce da esibire a seconda delle stagioni: è difficile sostenere a lungo che il Porcellum è una legge elettorale sbagliata, dare appoggio all’iniziativa referendaria e poi ritirare le corna dentro il guscio come lumachine prudenti. Insomma c’è di mezzo anche un po’ di dignità politica. Sarà interessante vedere come la destra proverà a sciogliere questo nodo. Specialmente come lo affronteranno Berlusconi e gli uomini a lui più vicini. Nei momenti critici l’attuale premier è sempre riuscito a inventare soluzioni funamboliche. Questa volta, tuttavia, il compito è più difficile del preventivato. A impegnarsi per l’astensione entrerebbe in attrito con gli ex An; a cavalcare il referendum si scontrerebbe con la Lega; fare il pesce in barile non conviene al grande Conducator. E quindi è un compito dell’opposizione cercare di valorizzare le contraddizioni implicite nell’alleanza di destra. Non è ben chiaro se il Pd abbia una vera convenienza a scegliere di appoggiare il referendum. Ma intanto ha un interesse serio a cercare di liquidare la legge Calderoli: la sconfitta di Walter Veltroni nel 2008 è avvenuta anche perché l’allora leader del Pd ha giocato concettualmente una partita con il maggioritario mentre gli avversari disputavano il match con il proporzionale. Dunque conviene darci dentro. Il Pd non ha da perdere che le sue catene. Il dito nell’occhio alla sinistra antagonista l’ha già messo con l’approvazione dello sbarramento del 4 per cento nella formula elettorale per le europee. E allora tanto vale tirare un po’ di peperoncino in un sistema elettorale approvato per avvelenare i pozzi alla fine della legislatura berlusconiana (2001-2006), per impedire all’Unione di governare, e che ha sempre favorito la destra. Altrimenti bisogna aspettare che la «stagione costituente» la apra Gianfranco Fini, e che arrivi in proposito il beneplacito di Berlusconi, che D’Alema convinca i diffidenti, e che Di Pietro non gridi all’inciucio. Troppe condizioni, troppe riserve mentali e politiche. Alla fine, meglio un bel calcio alla scacchiera.

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