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L’ulivo fiorisce a primavera

18/03/2004

Quelli della lista unitaria la chiamano «rottura del pack». Il Polo si scongela, isole di consenso si staccano ed escono in mare aperto, qualcuna va alla deriva fino a toccare il continente del centro-sinistra. Non era mai accaduto in dieci anni di bipolarismo. A leggere l’ultimo sondaggio della Swg la dinamica è ormai percepibile. A destra precipita Forza Italia, che oltretutto ottiene il suo risultato con un effetto Bancomat, digitando il codice e svuotando il conto corrente degli alleati. Nel centro-sinistra la lista unitaria si colloca un sospiro oltre la soglia psicologica del 35 per cento; non si profila la temuta guerra fra Margherita e Ds, nel senso che non si parla più di sorpassi: Fassino si muove a buona andatura e Rutelli tiene, le gerarchie di grandezza non vengono sconvolte. Semmai sorprende il risultato potenziale della lista Occhetto-Di Pietro, che drena un po’ di cattolici "radicali", raccoglie frange della sinistra movimentista (e forse anche qualche traccia di destra giustizialista), al punto da mettere un fermo alle ambizioni di crescita di Rifondazione comunista. Numeri. Pure astrazioni nel cielo della statistica. Figurazioni angeliche della riscossa antiberlusconiana. Ma gli esperti della matematica elettorale avvertono: non si tratta solo di uno svolazzo di cifre. Dietro le curve e gli andamenti dei grafici c’è una realtà in movimento. Dati che cambiano, si consolidano e si stratificano. E che mostrano come la situazione politica sia in fase, se non tellurica, almeno bradisismica. Dice Piero Ignazi, politologo: «Una rondine non fa primavera, ma la primavera scongela e scompone il blocco sociale di destra, mostrando che gli interessi erano troppo disomogenei per essere componibili, e che il messaggio mediatico- populista non basta a tenere insieme gli opposti, il Nord e il Sud, l’impresa e il pubblico impiego, i sussidiati e gli esposti alla concorrenza». Ammettiamo pure che con un impegno eccezionale e una campagna tutta effetti speciali Silvio Berlusconi riesca a recuperare l’ancora di "salvezza" del 25 per cento, il limite su cui ha fissato la sua Maginot. Resta il fatto che la quasi-tenuta di Forza Italia sarebbe pagata in contanti da An e Udc. La svolta "antifascista" di Fini sarebbe stata inutile sul piano elettorale, e la resistenza di Follini non verrebbe premiata, con il rischio di finire sotto il livello-brivido del 4 per cento. La Lega dimostrerebbe una volta per tutte di essere un modesto nido sotto l’ala di Forza Italia, che la tiene al caldo ma alla lunga la soffoca. Si aprirebbero quindi scenari tutti da scoprire. Probabili faide al coltello, nei corridoi della Casa. Senza escludere una sequenza di straordinaria dinamicità politica ed elettorale, con effetti o trasformismi inediti, passaggi di campo, studio ossessivo di strategie del post-Berlusconi. Perché l’orizzonte è il seguente. Le elezioni europee potrebbero sancire una vittoria in percentuale del centro-sinistra sulla Casa delle libertà per 50 a 45. La valutazione è prudenziale, ma gli esperti demoscopici sono piuttosto concordi nel valutare che i dati di oggi sono assestati, che le tendenze appaiono verificate nel medio-lungo periodo, e quindi è implausibile immaginare una riscossa rutilante di Berlusconi. Anche Renato Mannheimer rileva che la spinta antipolitica del Cavaliere, sintetizzata dal "sono soldi rubati", nonché dalle invasioni televisive e tecnico- tattiche sul Milan a due punte, «non ha portato finora a un incremento dei consensi». Forza Italia può limare le perdite, ma il risultato del 2001 sembra del tutto fuori portata. Ma a questo punto il problema centrale riguarda il centro-sinistra. Le elezioni europee infatti possono rappresentare una base di lancio per l’alternativa. Possono preludere anche a un ridisegno della Casa delle libertà, di cui gli annunci a-partisan sul "metodo repubblicano" di Giulio Tremonti e a ruota di Pier Ferdinando Casini rappresentano lo sfondo operativo. La rottura del pack smuove territori che in periferia (ma non solo in periferia, presumibilmente, e non c’è solo il caso di Paolo Cirino Pomicino a dimostrarlo) avvertirebbero l’attrazione del "magnete" costituito dalla lista prodiana, fosse pure soltanto in chiave di potere. Dimostra che l’ascesa del Cavaliere era molto resistibile, e che la sua discesa potrebbe essere irresistibile: nel bipolarismo imperfetto, il bandwaggoning, ossia il salto in corsa sul carro del vincitore, è la tentazione ineffabile di tutti i futuri orfani. Per questo il congresso della Margherita di questo fine settimana, giudicato inutile, una trovatina pubblicitaria di livello non eccelso, costituisce in realtà un momento delicato e a suo modo cruciale per risistemare i ruoli delle varie componenti del partito. Con Francesco Rutelli confermato alla presidenza, e Franco Marini all’organizzazione, si assisterebbe a una pacificazione delle tribù, lasciando tutto lo spazio alla gestione della lista unitaria e del suo futuro, nonché alla ridefinizione del rapporto strategico con i Ds. Il successo della lista Prodi non si rivelerebbe solo un fattore di grande semplificazione, apprezzato dagli elettori, ma costituirebbe anche un’entità politica in grado di assicurare la tonalità riformatrice dell’Ulivo e del centro-sinistra allargato. Oltre il confine della lista unitaria, infatti, la scena si movimenta, dato che non c’è più soltanto Fausto Bertinotti a presidiare la linea dell’antagonismo: Occhetto e Di Pietro possono anche fare da cerniera e da filtro. Per la prima volta dalla batosta del 2001, "en attendant" Romano Prodi, per il centro-sinistra il pessimismo non sembra più, a prima vista, una virtù.

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