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Ma quanto ci è costato Berlusconi?

16/02/2006

Fra le tecniche della politica populista ce n’è una che i politologi definiscono "manipolazione dell’agenda". Funziona più o meno così. Si presenta un programma elettorale, dopo di che si selezionano i temi giudicati soggettivamente più importanti, che vengono imposti propagandisticamente all’opinione pubblica, e su cui alla fine si chiede il giudizio degli elettori. Ciò consente di mandare in secondo piano una larga serie di punti programmatici controversi. Tanto per dire, a molti pendolari non importa granché delle grandi opere, se i trasporti normali vanno in malora; qualcun altro giudica la riforma della Costituzione qualcosa di molto più importante e grave del taglio delle tasse; altri ancora pensano che il ritorno al sistema proporzionale sia un attacco cinico alla tenuta del paese, e guardano con sufficienza o diffidenza alle promesse (peraltro non mantenute) sulla riduzione dei reati. L’abilità spettacolare di Silvio Berlusconi è consistita proprio nel portare la di?scussione pubblica sul terreno scelto da lui. Sulle 33 riforme prodotte dal suo governo, come se fosse importante il numero delle leggi e non la loro qualità, il loro varo legislativo, e non la loro realizzazione concreta. Ad esempio, è difficile non giudicare regressiva la riforma della scuola realizzata da Letizia Moratti, e basta entrare in un qualsiasi istituto scolastico per capire in quali condizioni deve lavorare un insegnante di buona volontà. E anche sul Contratto con gli italiani ci sarà da discutere: fra pochi giorni esce un nuovo libro di Luca Ricolfi ("Tempo scaduto", Il Mulino), che misura proprio il grado di attuazione dei cinque punti, e che contiene molte serie delusioni per la destra, parecchie delusioni per la sinistra, e una delusione grandissima proprio per Berlusconi. Il quale però è impegnato in una campagna titanica, basata su un solo assunto: deve fare il possibile per ricreare la fusione calda fra sé e il popolo. Deve mobilitare nuovamente il proprio elettorato deluso. Quindi ha ripristinato la sua formula infallibile: "noi" contro i comunisti, un manicheismo che investe e anzi specula sulle fratture della storia politica italiana. È venuto nell’Emilia profonda e ha ironizzato sul fatto che «qui perfino il sole è rosso»; ha ripetuto le solite ovvietà sugli intrecci fra giunte rosse e coop. Ha ripetuto quell’autentica trovata geniale che è il "pentagono rosso", con le sue ombre e risonanze misteriche. Ha ripreso tonalità quarantottesche, riuscendo a presentarsi come vera opposizione contro un potere virtuale ma rosso e pericoloso. Funziona? Sulle platee televisive un po’ funziona. Se il Potere appare a tutte le ore in qualsiasi programma, compreso quello di Irene Pivetti, con l’accompagnamento trionfale di Arrigo Sacchi e di qualche goleador milanista, può anche scattare il pensiero che un altro potere, cioè l’alternanza, sarebbe un salto nel buio. Qualcosa che evoca ideologie minacciose, rischi per la proprietà, accanimento burocratico e fiscale. Il fatto è che almeno per ora non si è assistito a una risposta convincente e coordinata del centrosinistra. Berlusconi sul piano della dialettica, con i suoi "foglietti e disegnini" (Diego Della Valle), è capace di sfuggire a ogni attacco individuale . Ecco allora che occorre riportare in agenda, cioè nella discussione pubblica, i temi su cui la Cdl è in difficoltà e su cui ha poche risposte. L’economia. Il reddito degli italiani. Nel 2001 avevano puntato tutto sul "miracolo", un tasso di incremento del Pil superiore al 3 per cento. Siamo alla crescita zero. Non è soltanto un indice macroeconomico: si tratta di ricchezza scomparsa, che non è più nelle tasche degli italiani. Un risultato ottenuto bruciando l’avanzo primario, aggravando il deficit, sfondando la spesa pubblica. Tutto questo significa una sola cosa: che il paese si indebita. Che la terra dei sorrisi e dei gipponi, dei ristoranti sfacciati e delle vacanze al Billionaire, nasconde dietro di sé un sistema tarlato, sempre meno competitivo, abituato al benessere ma incapace di mantenerlo. In sostanza, occorrerà portare in campagna elettorale la domanda: quanto ci è costato Berlusconi? Con un po’ di fantasia contabile si può anche quantificare la cifra e chiedergliene conto. Ma occorre farlo presto: altrimenti l’ipnosi del Cavaliere addormenterà non solo le platee televisive ma anche ampi settori di elettorato.

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