Gli intellettuali più prestigiosi e gli economisti più accreditati sono convinti che la legge finanziaria sia criticabile perché non ha affrontato con fermezza e fantasia l’entità della spesa pubblica. E che dunque l’azione di governo nasca da un vizio culturale, o perlomeno da un’impostazione fin troppo tradizionale e prevedibile. Ma come si può intuire il consenso dell’opinione pubblica non dipende dal consenso degli intellettuali. Se si vuole davvero capire il perché della caduta di popolarità del governo, sarà il caso di guardare anche a qual è stata la percezione generale dell’azione dell’esecutivo. E su questo punto ci sono pochi dubbi: basta scorrere a ritroso i giornali durante le ultime settimane per trovare una raffica clamorosa e fastidiosa di aumenti di prezzi, tariffe, bolli, ticket. Non male per un governo che era nato con l’intenzione, più volte espressa da Romano Prodi, di «rimettere il dentifricio nel tubetto», cioè di restituire il potere d’acquisto perso negli ultimi anni. Gli effetti redistributivi della manovra, prevedibilmente modesti, dovranno fronteggiare anche sul piano delle attese una quantità di annunci di adeguamenti di prezzi; le associazioni dei consumatori (nel caso, l’Adusbef) hanno individuato 56 nuove tasse, con un aggravio per ogni famiglia stimato in 440 euro l’anno, mentre ogni giorno si sono susseguite notizie o proclami di variazione al rialzo delle tariffe. Ancor più che la pioggia di tributi più o meno pesanti (sulla casa, sull’auto, sui rifiuti), e il prevedibile ricorso degli enti locali alle maggiorazioni dell’Irpef per compensare i tagli nei trasferimenti, ciò che risulta incomprensibile è l’aumento delle tariffe su servizi pubblici come le ferrovie, dove l’aumento medio è del 9 per cento, con punte del 15 per gli Eurostar, come ha già riscontrato chi ha acquistato un biglietto nei primi giorni del nuovo anno. Ogni volta gli enti che alzano le tariffe, che siano autostrade o ferrovie, i loro uffici stampa raccontano che i prezzi erano bloccati da anni (per Trenitalia, in realtà, c’era stato uno stillicidio di micro o macro aumenti, con l’invenzione lunare degli Intercity "Plus", più o meno uguali agli altri ma con prezzo maggiorato, e incrementi al limite dell’incomprensibilità delle esazioni a bordo). Il che rende logico il ragionamento immediato, e "populista", poco raffinato o semplicemente inquieto, dei clienti: nei servizi pubblici hanno assunto alcuni manager col buco, che hanno lasciato situazioni catastrofiche sia dal lato dei bilanci sia dal lato della funzionalità, i quali se ne vanno con liquidazioni milionarie lasciandosi alle spalle le macerie e un conto che paga Pantalone. Si sa che il popolo, la gente, i cittadini, l’elettorato, non sono troppo sofisticati, e quindi passano rapidamente a conclusioni impolitiche. Sicché non risulta molto facile a Tommaso Padoa-Schioppa o a Pier Luigi Bersani spiegare che occorrerà produrre riforme per eliminare le rendite ovvero liberalizzare i settori protetti, "nell’interesse del consumatore" e per rimettere in efficienza le amministrazioni. Sembra di assistere a una vistosa insensibilità dei ministri e del governo nel suo insieme rispetto alla pioggia di gabelle e di aumenti tariffari, come se si trattasse di un evento atmosferico, inevitabile come la pioggia o la nebbia. Per la verità, dopo avere strillato per cinque anni contro il populismo berlusconiano, occorreva un ragionevole populismo di centrosinistra. Non è una contraddizione. Di fronte a ogni incremento praticamente automatico dei prezzi pubblici, ci voleva una reazione di questo genere: prima di qualsiasi aumento delle tariffe, dateci un programma di risanamento, un piano di bonifica, di ristrutturazione, e solo in seguito parleremo delle tariffe. Altrimenti non si comprende quale sia il vantaggio di avere al governo tanti bravi tecnici della macroeconomia e tanti conoscitori delle tabelle e delle curve delle entrate e delle uscite. Romano Prodi ha parlato del ritorno alla crescita come della nuova "missione euro". Ma prima ancora della crescita, concetto inafferrabile dalle famiglie, occorreva evitare la sensazione del salasso ineluttabile, e di conseguenza le aspettative di una serie incontrollabile, nonché depressiva, di aumenti che toccano la vita di tutti. Controllare con rigore le grandezze macroeconomiche non implica ignorare le condizioni effettive di vita dei cittadini. Il consenso si costruisce dal basso, e il rigore sulle grandezze finanziarie non esclude il controllo sulla microeconomia. L’avere perso di vista questo aspetto non è un errore di comunicazione, bensì un deficit di consapevolezza politica. E agli occhi dei cittadini, suggerisce domande, giuste o sbagliate che siano, su che cosa ci sia di progressista e di solidale, insomma di sinistra, nell’aumento dei prezzi.
18/01/2007