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Manovra fuori controllo

12/08/2004

Finanziaria e devolution. Sono le due portate della cucina settembrina che la Casa delle libertà deve provare a cucinare. I cuochi sono in rissa continua. Anche se la spesa per gli ingredienti è costosissima, non è detto che alla fine i piatti riescano bene. Anzi può darsi che il tavolo del governo salti per aria, con tutto il menù, in un vorticare di litigi fra chef grandi e piccoli, camerieri, portavivande, guardarobieri. Primo piatto, l’economia. La sofisticata strategia del ministro dell’Economia è riuscita a sospendere la discussione sulla politica economica del governo Berlusconi: il premier è praticamente scomparso; i partiti del centro-destra pendono dalle labbra del "tecnico" torinese. Domenico Siniscalco è riuscito a mettere la maggioranza con le spalle al muro, almeno per il momento: ha presentato un quadro della politica economica italiana diviso concettualmente in due capitoli distinti. L’operazione verità, cioè tutto quanto è sgradevole, è stata espressa con la durezza dei numeri. Miliardi di euro, una trentina, per rimettere in linea di tenuta i conti pubblici, ed eventualmente per dare una tagliatina alle aliquote, come disperatamente vuole Silvio Berlusconi. Si tratta di una manovra che sulla carta sfiora l’eroismo, essendo analoga allo sforzo compiuto nel 1996 da Romano Prodi e Carlo Azeglio Ciampi per afferrare la scia della moneta unica, e non lontana dalla manovra apocalittica messa in piedi da Giuliano Amato nel settembre 1992, in tempi di bufera finanziaria. Difficile da trangugiare, questo piatto, innanzitutto per il paese, dato che l’entità dell’aggiustamento rischia di avere effetti depressivi su un apparato economico che è in stagnazione da un triennio, ed è ormai abituato a considerare ogni segnale di riavvio come un miraggio. Ma Siniscalco è riuscito a presentare questa rigorosa messa a dieta accompagnandola con il secondo capitolo della sua ricetta, e cioè uno scenario di sviluppo possibile, di ripresa alle porte, di rilancio produttivo potenziale, che aspetterebbe soltanto un innesco. Nel ragionamento del successore del desaparecido Giulio Tremonti, la miccia della crescita dovrebbe essere il recupero della fiducia da parte della società italiana, degli operatori, delle famiglie, delle imprese. Il recupero di consenso guadagnato con il riequilibrio dei conti dovrebbe indurre l’economia a ripartire, gli investimenti a crescere, i consumi a salire. Siniscalco ha indicato tre parole d’ordine: «Tranquillità, sobrietà, credibilità». Ha presentato ai partiti di governo uno schema virtuoso in cui l’occupazione in crescita, lo sviluppo dei mercati finanziari che dovrà essere garantito fra l’altro dalla nuova legge sul risparmio, le ricadute dell’innovazione sulla produttività e la competitività, le politiche per il Mezzogiorno e i programmi infrastrutturali, nonché infine la berlusconianissima ristrutturazione delle aliquote fiscali, possono predisporre il terreno a una crescita «alta e sostenibile», con i conti pubblici di nuovo sotto controllo. In sostanza, il titolare dell’Economia ha presentato due scenari: nel primo ha mostrato il peggiore dei conti probabili e la terapia obbligata; nel secondo ha illustrato il migliore dei mondi possibili. La durezza della manovra è mostrata con i conti. Lo scenario della crescita è pennellato con le parole. E qui è avvenuto un miracolo, o qualcosa di simile. Felici di sentirsi dire parole ragionevoli, soddisfatti (soprattutto quelli di An) di avere visto all’opera uno stile che non è quello sprezzante di Tremonti, e di avere riconquistato la mitologica "collegialità" nel governo dell’economia, i partiti di maggioranza hanno inghiottito i numeri, la sostanza hardcore delle linee programmatiche di Siniscalco. Si è diffuso un clima lievemente euforico, come se ora si trattasse soltanto di trovare gli accorgimenti tecnici per realizzare la manovra, qualche taglio alle pensioni di invalidità, "la lotta agli sprechi", le solite illusioni partitiche di andreottiana memoria. E invece dentro i conti del Tesoro ci sono le lacrime e il sangue. Secondo alcuni osservatori del centro-sinistra, come Enrico Letta, c’è anche il sospetto che la manovra contenga lo svuotamento di poste di bilancio, come i fondi per il Mezzogiorno, che verrebbero usati per finanziare il taglio delle tasse. Ma comunque, che la Finanziaria «non sarà indolore» l’ha detto chiaramente il neoministro (aggiungendo in seguito che la manovra sarà «imponente»). Per il momento la Casa delle libertà chiude gli occhi e tira il fiato. Se ne riparlerà in settembre, nel mese più complicato che il governo Berlusconi si sia mai trovato davanti. Complicato perché non c’è soltanto il problema di tradurre nel concreto i numeri del Dpef, mentre sulla scena politica aleggiano parole come "patrimoniale" (che affiorano sulle labbra di politici del centro-sinistra e del centro-destra, vengono evocate dal capo della Cgil Guglielmo Epifani, compaiono e subito spariscono, ma intanto stridono spaventosamente con il programma del "meno tasse per tutti"). È già da tempo nei radar, infatti, anche lo scoglio monumentale della riforma costituzionale. I 43 articoli modificati dal testo approvato dal Senato costituiscono di fatto una nuova Costituzione, e comunque una riforma inquietante, perché concepisce la trasformazione dello Stato in modo unilaterale: cioè aprendo la strada a una serie di riforme di sistema completamente "di parte", approvate a maggioranza, che una prossima maggioranza di segno politico opposto potrebbe abbattere e sostituire, in uno choc istituzionale permanente. La "devolution più il premierato" è una riforma eccentrica, con un sistema bicamerale asimmetrico che il giurista Marco Cammelli ha paragonato a «una bicicletta con una ruota rotonda e una ruota quadrata». Ha suscitato le critiche radicali di numerosi giuristi italiani. Il massimo scienziato politico nazionale, Giovanni Sartori, la giudica un "vulnus" all’impianto stesso del costituzionalismo. Ebbene, questa riforma partigiana è diventata l’oggetto di uno scontro e di una contrattazione («Un mercato delle vacche», sempre secondo Sartori) all’interno della Casa delle libertà. Come tutti gli uomini politici privi di senso delle istituzioni, Berlusconi appare disposto a fare carta straccia della Costituzione, se ciò va a vantaggio dei suoi obiettivi politici. Finora l’Udc e segnatamente Marco Follini hanno resistito al tentativo di consegnare l’ostaggio della devolution ai leghisti. Ma i centristi sono in una condizione scomoda, dal momento che non possono permettersi di apparire come i demolitori della Casa delle libertà. Quindi potrebbe profilarsi una prospettiva intermedia, uno scenario "grigio". Una Finanziaria con tutti gli artifici contabili possibili, per acquistare sei mesi di tempo. Un negoziato sulla riforma costituzionale senza alcuna chiarezza, in modo che non si creino condizioni di rottura e che siano eventualmente le letture parlamentari a rallentarne il cammino. Tutto ciò per arrivare al voto anticipato nella primavera del 2005, con Berlusconi che si presenterebbe con l’accompagnamento di tutta la sua strapotenza mediatica come il vincitore della battaglia fiscale, l’autoriduttore delle tasse, alla ricerca di un exploit estremo. Scenario da incubo. Ma forse è l’unico scenario che lo chef Berlusconi può accettare, prima che il menù della sua "maison" venga giudicato fuori data di scadenza.

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