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Margherita avvelenata

23/09/2004

Reggio Emilia, impressioni di settembre. Dopo un eccellente piatto di cappelletti in brodo di cappone, sotto un tendone affollatissimo, Enrico Letta conclude il suo intervento alla Festa dell’Unità invitando il popolo a imbracciare "il forcone" contro i dirigenti del centro-sinistra che si attardassero a discutere questioni interne all’alleanza anzichÈ pensare ai contenuti e al programma. Ovazione dilagante, mentre l’altra metà della ditta, il compagno Pier Luigi Bersani, con cui Letta ha effettuato il suo apprezzato tour nei distretti industriali, mastica il suo sigaro sogghignando e guardandosi ostentatamente le natiche. Piccole demagogie senza importanza, utili per scaldare le platee? Anche, come no. Ma se uno dei politici più ulivisti della Margherita, un tecnico, l’allievo prediletto di Beniamino Andreatta, un ex ministro di credibilità bipartisan, si sente obbligato a chiedere il bombardamento del quartier generale, vuol dire che il problema esiste. Esiste un calo del centro-sinistra nei sondaggi; esiste un certo recupero di re Silvio, forse favorito dal suo lunghissimo silenzio. Esiste il fastidio, o il disagio, con cui la base guarda al duello fra Prodi e Rutelli. Ancora Emilia profonda. A Reggio e a Modena, Massimo D’Alema liquida i problemi di leadership dell’Ulivo con un’alzata di spalle. "Abbiamo un’alleanza larga, un leader che è Romano Prodi, dobbiamo formulare un programma capace di parlare alla gente e risolvere i guasti lasciati dalla destra". Sembra il punto più alto della coesione ulivista, ma è vero fino a un certo punto. PerchÈ lo schema dalemiano liquida come una sovrastruttura inutile la cerimonia prodiana delle primarie. Il leader ha già ricevuto l’investitura, non rompa le scatole. Sembra un proclama simmetrico a quello che sempre più spesso lanciano dal fortino della Margherita i vecchi valvassori Lamberto Dini e Ciriaco De Mita, e gli esponenti della nouvelle vague come Dario Franceschini: Prodi è il capo della coalizione, e allora che vuole? Alla Margherita lasci che ci pensiamo noi. Intanto, i prodiani soffrono. Ormai da mesi assistono alle iniziative di Francesco Rutelli con una diffidenza cosÏ intensa da risultare paragonabile soltanto a quella fra una corrente democristiana e l’altra. Temono in realtà che Rutelli stia interpretando uno show tutto personale, acrobatico, anzi funambolico, ancora da decifrare. Sono attentissimi a tutte le dicerie sulle ipotesi neocentriste. Sono sensibili a tutte le maldicenze antiuliviste come quelle spifferate da Francesco Cossiga la settimana scorsa, a "L’espresso". In uno dei suoi exploit più creativi, l’ex capo dello Stato ha raccontato due storielle sensazionali. Nella prima, Berlusconi avrebbe detto: beh, se qui si fa finalmente la sezione italiana del Ppe, un posto per "Romano" bisogna pur trovarlo; nell’altra storiella, ambientata a Trento durante l’incontro post-ferragostano per il cinquantenario della morte di De Gasperi, Helmut Kohl avrebbe invitato Prodi a mollare al più presto l’esperienza del centro-sinistra, "l’ubbia dell’Ulivo", e a mettersi alla guida politica dei cattolici nuovamente riuniti. Storie, hanno commentato i membri principali del partito prodiano, riuniti come ogni anno a Camaldoli per parlare di temi culturalmente altissimi nei seminari del programma ufficiale, e di temi politicamente meno alti ma più inquietanti nei corridoi: secondo i più vicini a Prodi, gli intimi, quelli che registrano anche i sospiri del quasi ex presidente della Commissione europea, Kohl non ha mai dimenticato la sua diffidenza per Berlusconi, per i tacchetti, il cerone, quel look che agli occhi teutonici dell’ex cancelliere lo fa sembrare "ein Buchmacher", un allibratore. Adesso, poi, con il lifting e il trapianto di capelli, figuriamoci. E giurano che al momento buono l’immenso Kohl, 160 chili di materiale cristiano-democratico purissimo, offrirebbe pubblicamente il proprio appoggio al vecchio amico Romano. Intanto, fra Rutelli e Prodi, se non è corso il sangue sono corse carognatine di lusso. "L’intemperanza giovanile" autocertificata con cui Prodi ha qualificato il suo interlocutore come "’nu bello guaglione" è stata tutt’altro che una voce dal sen fuggita. La ricostruzione che circola nel giro prodiano è la seguente: Rutelli aveva cominciato una manovra insidiosa, tesa a qualificare "Romano" come troppo sbilanciato verso Fausto Bertinotti, e troppo legato ai Ds. In sostanza, il Prodi dipinto da Rutelli sarebbe un leader eccessivamente pencolante a sinistra, che sposterebbe il baricentro della coalizione addirittura fuori dalla Margherita. "A questo punto", commentano i fedelissimi del Professore, "Prodi è entrato in tackle scivolato, e ha portato via la palla a Cicciobello". Traduzione: l’invito a Rutelli a candidarsi alle primarie, per verificare se la sua posizione è davvero consistente nel centro-sinistra, ha reso evidente chi ha il consenso, il carisma e il bastone del comando. Risultato: "» stata bloccata un’operazione neocentrista potenzialmente pericolosa". La parola "neocentrista" è rivelatrice di tutti i sospetti che si appuntano su Rutelli. Alcuni pasdaran prodiani, infatti, non nascondono le loro preoccupazioni: da ex radicale, da radical- conservatore come il suo maestro Marco Pannella, Rutelli potrebbe, dicono, essere l’agente segreto, sussurrano, della ricomposizione postdemocristiana, mormorano. Fantapolitica? Fintanto che sulla scena politica c’è l’ingombro di Berlusconi, ogni progetto centrista appare fuori luogo. Eppure, eppure. Qualcosa ha cominciato a muoversi dopo le elezioni europee. La sconfitta di partito e personale di Berlusconi, con la perdita di otto punti percentuali sul 2001, ha reso quasi plausibili appetiti che prima erano inimmaginabili. Possibile lasciare tutto quel ben di Dio all’Udc? Possibile abbandonare tutta l’eredità elettorale di Berlusconi a Pier Ferdinando Casini? Inoltre, sul fronte dei poteri forti, è sembrato delinearsi un rassemblement centrista, visibile nell’azionariato della Rcs e in quei settori della Confindustria che riconoscono il fallimento del governo di centro-destra ma non hanno nessuna intenzione di concedere la fiducia a un governo Prodi-Bertinotti. E intanto il cattivo, anzi il pessimo risultato della Margherita lascia incustodito questo ben di Dio moderato. Dati questi chiari di luna, ci sono ampie ragioni per pensare che il centro-sinistra possa avere cominciato il suo lento suicidio, come sospettano da tempo i più pessimisti. Mancano quasi due anni alle elezioni politiche, e visto con il senno di poi, dopo avere assistito alle scenette dello scambio malevolo "Prodi si candidi alle suppletive", "Rutelli si presenti alle primarie", sembra incombere davvero l’ombra della triste scienza secondo cui il centro-sinistra è un’impresa troppo complicata per quagliare. A Genova, in un’altra serata settembrina, Prodi ha dichiarato che se dovesse vincere le elezioni del 2006, dopo cinque anni di governo riterrebbe concluso il servizio al Paese come premier. Anche in questo caso, ovazione generale, non proprio comprensibile. Un applauso che esprime l’apprezzamento per un disinteresse da Cincinnato. O un esorcismo verso il ricambio generazionale reclamato dall’iconoclasta Franceschini. PerchÈ indica che i Prodi passano e i Ds restano. O semplicemente perchÈ segnala una distanza da "quegli altri", quelli legati ai partiti. Ma se è cosÏ, il duello a sinistra, per l’ennesima volta, è appena cominciato, e conviene ricordare dov’è il ripostiglio dei forconi.

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