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Meglio distinguere partito e sindacato

13/09/2001

Piero Fassino, probabilità di sconfitta basse, salvo imprevisti. Giovanni Berlinguer, alte, malgrado l’effetto vecchio zio. Enrico Morando, praticamente scontate salvo confluenza. Ma neanche i giocatori d’azzardo più incalliti e imprudenti potrebbero scommettere a colpo sicuro su chi perderà davvero il congresso dei Ds, perché anche le soluzioni già scritte scolorano nell’incertezza quando un partito carico di storia vive un presente di turbolenza. Parrebbe invece di poter scommettere facilmente su chi lo ha già vinto, con settimane di anticipo, a mani basse, senza impegnarsi direttamente nella sfida congressuale. Dire che si tratta di Sergio Cofferati è superfluo, visto che con una sola intervista, e con un solo profondo attacco al governo, il leader della Cgil è riuscito a trasformarsi nel protagonista assoluto della fase politica. Cofferati incombe sulle feste dell’Unità, sulla discussione fra i militanti, sul confronto fra i papabili alla segreteria. Mentre i candidati ufficiali si sono presentati con una sola missione (salvare il salvabile), Cofferati ha occupato la scena presentandosi come l’unico leader a due facce: capo della piazza e capo implicito del partito, e in quanto tale unico esponente della sinistra con le idee chiare su come si fa l’opposizione. Le conseguenze sul dibattito interno ai Ds sono appariscenti. Fassino per ragioni d’ufficio e Berlinguer per obblighi di rappresentanza correntonista devono mettersi sulle orme del più forte esponente diessino in circolazione (operazione che impaccia evidentemente il primo ben più del secondo). E fosse tutto qui: con la sua sortita contro le politiche berlusconiane, forse resa più intenzionalmente violenta anche dalle propagandistiche accuse di passatismo rivoltegli al Meeting di Rimini da un imprudente Tremonti, Cofferati si è comunque eretto a interlocutore principale del governo di centrodestra. Al punto che anche Silvio Berlusconi si è posto il problema. È difficile che l’autunno 2001 possa ripetere gli strepitosi exploit dell’autunno 1994, tuttavia per il premier le piazze piene sono un’inquietudine. Dal governo sono partiti i segnali, seppure visibilmente astiosi, di attenzione. Si è messa la sordina agli ideologismi liberisti. È stato prospettato qualche punto di confronto. Questa strategia governativa complica le cose anche al vincitore Cofferati. Che può facilmente mettere sotto ipoteca politica i Ds, e fare della Cgil lo strumento dell’opposizione sociale. Ma se il governo fa il suo mestiere con flessibilità e apre tavoli, anche il Cinese deve comportarsi da sindacalista, e portare a casa gli accordi possibili. Insomma, Cofferati è il protagonista assoluto finché il governo berlusconiano glielo concede. Ma una certa prudenza "democristiana" riporta automaticamente il capo della Cgil dentro il suo apparato, mentre il poveretto che si troverà al vertice dei Ds resterà scoperto e boccheggiante: a riprova che in questo momento per i Ds parlamento e piazza, partito e sindacato, sarà meglio tenerli distinti.

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