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Meglio un pacco che due scatole

27/01/2005

L’energetico, il galvanico Paolo Bonolis si trova in un momento particolare della sua carriera, lì che tira un bilancio dopo il successo di "Affari tuoi" e in attesa di quel giudizio di Dio e del popolo che è il Festival di Sanremo. Il suo programma con i pacchi e le scatole è stato un successo debordante, basato com’è su uno schema da fiera paesana, cioè su un "format" che gli italiani conoscono da sempre, e che è sempre irresistibile nonostante sia diventato un format internazionale. Insomma, siamo sempre al punto che il concorrente deve scegliere fra una scatola che può contenere una paccata di euri oppure un peperone. Suspense, suspense. Di suo, il Bonolis ci mette alcuni tratti particolari, ossia la solita conduzione muscolare, vitaminizzata, a voce stentorea; il solito lessico da coatto ripulito, che dice in modo finto-aulico le parole della quotidianità. Tanto che ha continuato a ripetere fino all’ultimo «Mezzo miliardo del vecchio conio», espressione, vecchio conio, improbabile: l’avesse detta una volta ogni tanto, passi; invece la diceva sempre, sempre, traducendo gli euri in lire. Ma insomma, le lire non ci sono più, se non nella memoria, e le lire del vecchio conio a cui si riferisce Bonolis costituiscono un esempio vistoso di paternalismo, una discesa cinica al livello del pubblico generalista. Questo "change over" a ritroso è il prodotto chissà quanto involontario dell’euroscetticismo popolare italiano: anziché chiamare le cose con il loro nome si nominano i fantasmi. Adesso aspettiamolo all’appuntamento della vita, cioè a Sanremo. Da ciò che si è saputo, ma poi vedremo che cosa avverrà effettivamente sul palco, Bonolis e l’organizzazione trasformeranno il Festival in un kolossal televisivo, una "Super Domenica In", oppure in una iper-edizione di "Votate la canzone della vostra vita: vi piace di più la maglietta fina o l’acqua azzurra?". Inseguiranno ospiti stranieri e italiani che forse verranno o forse no, ma chi se ne frega, perché quando a Sanremo arriva l’ospite canoro, il cantante o il gruppo, il pubblico generalista o si addormenta o mette mano al telecomando: «No, il cantante no!». E allora qual è una soluzione, un Sanremo senza cantanti? Be’, l’idea non è peregrina, e forse l’unico a poterla realizzare è Bonolis. Che presenti, che canti, che balli, che faccia la valletta. Sarebbe un festival-pacco? Chi se ne frega, meglio un pacco che due scatole.

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