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Natale in casa Rutelli

21/12/2000

Il punto limite è Natale, con l’albero, la grotta e i pastori, ma l’alternativa è quella del diavolo: o il bambino Rutelli riesce finalmente a nascere, oppure gli elettori si lasceranno prendere dalla sindrome «nun me piace ‘o presepio». Quindi: inventarsi qualcosa, un’idea, un progetto, un programma, una comunicazione. Altrimenti il candidato s’affloscia e la partita si fa impossibile. Che la corsa sia ad handicap non è un mistero. La parte più ulivista dell’Ulivo, il clan di Camaldoli che lo ha lanciato contro Amato, ammette che per ora Francesco Rutelli è al trotto. Non è più immobile, ma ancora non galoppa. Dopo l’imprimatur, Romano Prodi da Bruxelles esprime qualche inquietudine: per tenere aperta la prospettiva politica prodiana, occorre che Rutelli faccia un risultato decente. Ma il presidente della Commissione europea, reduce dal recupero d’immagine di Nizza, non può spendersi visibilmente (gli ha dato un sostegno simbolico, con la moglie Flavia "inviata" nel Comitato dei 20, una delle strutture politiche di elaborazione del programma). Adesso tocca a Francesco. Senza soldi, diffidente verso le ipotesi di lanciare un "fund raising" all’americana, tenuto a stecchetto dai partiti alleati, Rutelli deve tentare di imitare l’esperienza prodiana senza avere dalla sua la dote di Prodi, cioè le entrature nel mondo accademico e nell’establishment economico. Tutti i maggiori istituti di ricerca concordano sul fatto che il candidato del centro-sinistra è "in sospensione". Perlomeno non ha ancora perso. Ma dopo il boom mediatico iniziale, Rutelli è divenuto un’incognita. Mentre Berlusconi ha lasciato una traccia nell’opinione collettiva, con la guerra urbana dei manifesti, il leader del centro-sinistra non ha ancora avviato una strategia coerente di comunicazione. Al momento, la sua è una presenza-assenza. Secondo uno specialista come Nando Pagnoncelli, direttore dell’Abacus, le chance rutelliane sono ancora integre: ormai gli elettori decidono nelle ultime due settimane prima del voto (come avvenne con il sorpasso di Prodi nel 1996); il Nord verrà effettivamente desertificato dal combinato Polo-Lega (all’Ulivo resterebbe la miseria di una decina di seggi), ma le elezioni si vincono al Sud. E il Sud è tendenzialmente governativo, con la finanziaria di Amato che si farà sentire. Di qui il dogma ecumenico-geografico di non farsi scappare nessun voto meridionale, né quelli di Antonio Di Pietro né quelli di Sergio D’Antoni. Piuttosto, Rutelli sconta ancora il peso di una coalizione frammentaria. Adesso il leader dei Democratici, Arturo Parisi, lascia filtrare l’idea ottimistica che oggi «la Margherita assomiglia più all’Asinello di quanto l’Asinello non assomigli alla Margherita». Una capziosità politichese? Di sicuro Parisi ha preso atto che la situazione fra i Ds non è ribaltabile con invenzioni politiche spettacolari. Il realismo consiglia di puntare su quell’oggetto botanico ancora misterioso che è la Margherita, con Rutelli capolista, in modo da sviluppare il più possibile la parte non diessina della coalizione. Al di là delle dichiarazioni di facciata, infatti, per Rutelli i Ds sono un problema serio. Nel partito è in corso una distribuzione delle parti per resistere come entità politica in caso di sconfitta. Con l’ipotesi di Walter Veltroni al Campidoglio e la certezza di Massimo D’Alema a comandare nel partito. In area prodiana sogghignano: «La preoccupazione principale di Veltroni è di socializzare le perdite». Certo è però, come fa notare l’eversore di Dario Fo, Michele Salvati, che la filiera D’Alema-Amato rappresenta in prospettiva un blocco d’ordine neo-socialdemocratico, altro che ulivismi. Non c’è dubbio che, se la sinistra perde male, c’è un dividendo negativo da ripartire. E quindi Rutelli non può contare sulla generosità diessina. Il sacro egoismo di partito avrà automaticamente la meglio sulle prospettive di coalizione. I prodiani lo pungolano ad abbandonare la mansuetudine: «Deve smetterla di fare la faccia buona: i problemi non si risolvono esibendo la bontà, ma affrontandoli a muso duro». Entro Natale, dunque, Rutelli deve a ogni costo impattare l’opinione pubblica, fare emergere il suo progetto politico, proporsi come leader che fa scomparire i conflitti fra i dieci piccoli indiani dell’alleanza. Ha fatto lavorare alacremente i suoi sherpa sul programma, anzi, sul manifesto politico, la "Lettera di Francesco Rutelli agli elettori" che segnerà la sua ripartenza. Il presidente di Legambiente Ermete Realacci come tessitore, l’ex occhettiano Iginio Auriemma come autentico factotum della stesura (fra l’altro è l’autore del pamphlet sul Pci-Pds-Ds "La casa brucia", titolo sempre d’attualità). Poi i contributi degli economisti Nicola Rossi, Paolo Leon e soprattutto Paolo Onofri (recuperando parte del lavoro svolto a suo tempo dalla commissione per la riforma del welfare, in particolare i "piani di vita personali", con sanità e previdenza flessibilizzati). Infine gli interventi tecnici del quartetto ministeriale Bersani-Letta-Fassino-Visco. Prima delle tecnicalità, comunque, la questione più drammaticamente urgente consiste tuttavia nell’individuare un set di idee-forza: di slogan, di punti chiave che si fissino nella percezione comune. In modo da saldare con un cortocircuito comunicativo la propria leader-ship con l’elettorato. Allora, punto primo: il lavoro, la «piena e buona occupazione». Dimezzare la disoccupazione in cinque anni, tenendo il rapporto con il sindacato ma lavorando anche con politiche sul lato delle imprese, puntando a sviluppare le forme nuove di occupazione. Flessibilità, articolazione territoriale, con l’idea di fondo che l’occupazione è un tema di unità nazionale, essenziale per reintegrare il Mezzogiorno. Punto secondo: la sicurezza. Sicurezza contro la criminalità, per spegnere l’allarme sociale provocato dall’illegalità, cercando di colmare il divario rispetto al "law and order" su cui punta vocalmente una destra «forcaiola nelle piazze e ipergarantista in politica». Punto terzo: «una vita di qualità». Cioè una proposta di riqualificazione collettiva, che comincia dal rie-quilibrio ambientale, ma che investe anche i temi della sanità, delle pensioni, della burocrazia, della condizione urbana. In sintesi, Rutelli si trova nelle condizioni di dover stabilire il punto di equilibrio fra continuità e discontinuità. Tra il valorizzare l’attività di governo degli ultimi cinque anni e puntare sul "fresh start". In ogni caso, facendo in modo che il candidato e le sue parole chiave diventino tutt’uno, e che facciano dimenticare agli elettori gli spettacolini del caravanserraglio che ha alle spalle. Prima che l’Epifania tutte le feste si porti via.

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