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Nostra Signora dei columnist

29/03/2001

Qualche volta strafà: di fronte alle crisi della new economy sostiene che «basterebbe andare a rileggersi la lettera 90 di Seneca». Altre volte sta sul popolare, criticando i parlamentari perché il loro lessico è passato «dal politichese al burinese». Per Nostra Signora dei columnist, in arte Mina, l’opinionismo praticato ogni sabato sulla "Stampa" non è una novità. Nella sua complessa arte di desaparecida che lascia indizi e dispone tracce aveva tenuto una rubrica su "Musica" (un supplemento di "Repubblica"), intitolata "Ragazzi spegnete la tv". Più tardi aveva impartito le sue lezioni settimanali sul defunto "Liberal", talvolta con vertici piuttosto memorabili, come in una fratricida, adorante-odiante stroncatura della Loren. Sul quotidiano degli Agnelli, su cui compare da oltre un anno, Mina è più compassata. Sa che il giorno dopo, ogni settimana, Barbara Spinelli insegue lo "Zeitgeist": e quindi lei pedina la cronaca, dalle campagne antifumo ai pedofili, dalla clonazione alla playstation. Prova l’acrobazia di qualificarsi né di qua né di là, né con gli apocalittici che sulla stregua di Seneca demonizzano il mondo della tecnica né con gli integrati che si esaltano per il web e con il web. Da una parte infila qualche ricordo piccolo borghese (la mamma ottantunenne che ama le moto, la nonna che suonava Puccini al piano), talora con il tono nazional-cheap scrive che il papa "si emoziona" pregando per la pace. Mentre dall’altra parte ci mette una cultura sterminata, che non arretra davanti alla mitologia di Edipo e Giocasta, alle incursioni shakespeariane, alla Bibbia, citando in latino perfino la "damnatio ad bestias" dei cristiani martirizzati. Così se parla dei danni del fumo non rinuncia a citare Zeno Cosini, e ricorre a Mark Twain per spiegare che ultimamente, dopo anni di astinenza, anche lei continua a smettere di fumare con fallimentare ripetitività. Mentre di fronte ai mondi della virtualità, confessa che la sua vera emozione è «aprire un libro col suo nobile fruscio». A modo suo, tenta di interpretare la parte dell’Inattuale. Si sfoga contro il cattivo italiano imperante, «un paciugo fatto di espressioni appiccicose e collose»; parlando della fissazione per i calendari depreca «l’odierna esplosione di ombelichi, di culi e di carnacce nude». A tutela dell’inattualità, invoca i suoi numi. Ecco Pasolini, citatissimo come profeta del degrado materialistico; ma non si fa sfuggire Dante, sant’Agostino, Kant, Beccaria, Manzoni, e poi Testori, Roland Barthes, Bobbio. Ciò che la inquieta di più è il sistema della comunicazione. Parla con mesi di anticipo del "Grande Fratello" evocando l’immagine del «villaggio globale della rottamazione dell’intelligenza», e conclude: è «quel villaggio di cui mi piacerebbe essere la più grande scema». Mentre il suo rischio vero è di praticare il conformismo dell’anticonformismo. E dopo essere stata il simbolo della rottura delle convenzioni, di diventare almeno sulla carta stampata il ritratto di Nostra Signora del common sense.

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