Una laurea honoris causa in giornalismo a Sergio Zavoli assomiglia a una tautologia. Laureare in giornalismo il più noto giornalista televisivo italiano: laurea e giornalismo al quadrato. Ma il fatto che lunedì scorso l’Università di Roma Tor Vergata abbia assegnato questa onorificenza a Zavoli consente non soltanto di ripercorrere una carriera ricchissima. Perché è vero che il curriculum di Zavoli, oggi senatore della Repubblica, è impressionante. Si potrebbero citare programmi come "La notte della Repubblica" o "Nascita di una dittatura", ma anche una foltissima serie di pubblicazioni, da cronista, da narratore e anche da poeta. Eppure alla fine, di Sergio Zavoli, nato a Ravenna nel 1923 ma riminese di fatto come il suo amico Federico Fellini, rimane soprattutto il cronista. Cioè il giornalista che ha reinventato il ciclismo con il "Processo alla tappa", e che ha raccontato il Vietnam, l’Algeria, la Somalia; che ha incontrato i grandi della terra, da Schweitzer a Von Braun. Ma soprattutto che ha sempre iscritto la cronaca in un contesto: storico, naturalmente, ma anche politico e in fondo morale. Sicché a ripensare ai suoi grandi reportage viene da chiedersi se esista ancora una traccia di questa forma di giornalismo: vale a dire se il lungo viaggio di Zavoli abbia lasciato il solco di una tradizione, oppure se il suo lavoro appartenga ormai a un’altra epoca, a un’altra televisione. O a un’altra cultura. Se lo è chiesto anche lo stesso Zavoli, nella sua "lectio magistralis": «Come trasmettere anche il senso delle cose comunicate se, per garantirsi il consenso del pubblico, si è fatto largo il costume di privilegiare l’effimero e l’inusuale, il suggestivo e il violento, strumentalizzando e banalizzando persino la sacralità della vita e della morte? Di questo passo, dovremo arrenderci alla spettacolarità del reale con la discolpa del disordine che lo governa?». Si tratta di una domanda a suo modo decisiva. Che presuppone un’etica del giornalismo in un’epoca che sembra rifiutare codici e sistemi di riferimento. La potenza della televisione contemporanea implica proprio la possibilità di esaltare il frammentario, lo scandaloso, il mutevole capriccio della realtà. Ritrovare nella principesca (come diceva Indro Montanelli) lezione di Zavoli i principi di un giornalismo di livello altissimo può essere anche l’occasione per domandarsi se un’altra televisione sia ancora possibile.
05/04/2007