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Paradigma mariastella

25/09/2008

Più di Brunetta, e più di Tremonti, il ministro Mariastella Gelmini impersona lo spirito autentico del governo Berlusconi. La trentacinquenne Gelmini campeggia su copertine e fotografie agghindata in abiti colorati, in uno stile che ricorda gli anni Cinquanta, a cui gli occhiali da vicepreside aggiungono un tocco "vintage". Ma ciò che più interessa, e la rende un emblema della nuova ideologia di destra, è la sua azione e le idee che la ispirano. Il ministro Gelmini infatti è la portatrice dell’autentico pensiero che anima il governo, già identificato come portatore di una modernizzazione reazionaria (o se si preferisce di una restaurazione modernizzatrice: sempre di ircocervo si tratta). Per questo la Gelmini va presa alla lettera. E alla lettera vanno presi i pilastri della sua opera. Per dire, il recupero del grembiule e del voto in condotta non sono semplici proclami demagogici: costituiscono gli indizi di un metodo, secondo il quale problemi complessi si risolvono con operazioni semplici, fra gli applausi di una società vecchia e stanca, che rimpiange la propria modesta gioventù. Chi scrive ha avuto la ventura di frequentare la scuola materna e le elementari in una provincia bianca degli anni Cinquanta, dove i maestri comandavano "mani in prima" e "mani in seconda" ("in prima" dovevano essere appoggiate sul banco; "in seconda" portate dietro la schiena). All’asilo, le suore punivano i bambini cattivi con castighi graduali che cominciavano con la pacca della riga da sessanta centimetri sul palmo della mano, potevano passare al cerotto sulla bocca e giungere a legare i troppo vivaci alla sedia con una fune grossa due centimetri. Perché non recuperare queste usanze? Solo perché non lo consente il buonsenso? Ma il buonsenso non è una categoria politica, l’importante è reagire al «nullismo», come lo chiama Tremonti, del Sessantotto, ripristinare il principio di autorità, recuperare una società ordinata. E se questo non basta, sarà bene applicare integralmente tutte le soluzioni o le fissazioni del ministro Gelmini: a cominciare dall’eccellente idea di tornare al maestro unico (o per meglio dire alla maestra unica, vista la composizione del corpo insegnante alle elementari). La polemica contro il "modulo", cioè contro la riforma che portò alle équipe coordinate di insegnanti è un vecchio tema di destra, che si è sempre nutrito di considerazioni in parte economiche e in parte filosofiche. Certo, tre insegnanti al posto di uno costano di più, anche se non tre volte di più, e possono apparire una soluzione corporativa alla crisi demografica, secondo lo slogan "meno bambini, più maestri". Le critiche filosofiche invece hanno sempre preso di mira il fatto che il "modulo" rappresenterebbe un attentato alla libertà d’insegnamento e un attacco gravissimo alla psicologia degli alunni, disorientati dalla varietà delle figure di riferimento. Nessuno dei fautori del ritorno all’insegnante unico, in politica, ha mai chiesto che si procedesse a valutazioni empiriche sui risultati della scuola elementare, e a confronti con la scuola primaria almeno europea, sui metodi, sulle peculiarità delle pedagogie nazionali. Magari si scoprirebbe che il "modulo" è una schifezza, ma finora ha funzionato. Magari l’Europa è più avanti, è più indietro, è più di lato, ma l’insegnante multiplo non l’abbiamo inventato noi. Invece no. Ciò che importa è trasmettere l’idea di un proficuo ritorno al passato, all’ordine, al merito (si fa per dire, naturalmente: sappiamo che la meritocrazia, come la concorrenza, si applica agli altri). È la restaurazione selettiva, rivolta preferibilmente verso i nemici di classe, che per il momento potrà piacere a un paese vecchio mentalmente e provinciale culturalmente, che crede di poter riassaporare i metodi di una tradizione già da un pezzo in frantumi. Illusioni. Illusionismi. Il tentativo di far credere che i problemi si risolvono a partire dalla coda, guardando a un tempo che non esiste più, quando si faceva la buona azione quotidiana e i dodicenni non compravano la cocaina all’angolo di strada. E allora avanti, c’è modo di fare di più e meglio: abolire la sciagura famigliare del divorzio, tornare all’adulterio punito con il carcere. E quanto alla scuola, ridateci i meravigliosi professori di "Amarcord" con i loro tic, quello là che vuol tenere intatta la cenere della sigaretta, quella lì che scandisce «la pro-spet-ti-va!». Tutto stupendo, anche secondo il sessanta per cento degli italiani che nei sondaggi mostrano di gradire: ma noi, noi anime prave, che cosa abbiamo fatto di male, per meritarci tutto questo?

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