Certo che se uno spaurito elettore del centrosinistra, con lo spirito demoralizzato dall’abbattimento del governo Prodi, si lasciasse impressionare dalla colossale, e vittoriosa a priori, campagna lanciata da Silvio Berlusconi, dovrebbe lasciare ogni speranza: il centrodestra ha già vinto, dato che i sondaggi riservati che circolano fra le multinazionali mostrano dati spaventosi, da thriller o da horror, quasi 30 punti di differenza fra i due schieramenti, il presagio di un trionfo berlusconiano con qualsiasi sistema elettorale e con qualsiasi alleanza. Insomma, neanche farle, le elezioni. Conviene consegnare il potere direttamente al Cavaliere, con tutti i salamelecchi del caso, un cuscino con le chiavi di Roma e mazzi di fiori. E poi mettersi nella posizione acconcia per ricevere con espressione compunta l’omaggio dell’ombrello di Altan. Ma nelle situazioni difficili, e quella presente a essere franchi è una situazione perlomeno molto problematica, non conviene cedere alla disperazione. E che sarà mai, Berlusconi. Il populista democratico, come lo chiama Giuliano Ferrara, che abbiamo già conosciuto, con la sua corte di Dell’Utri, Gasparri, Fini, La Russa, Cuffaro, Previti, ecc. Facce note e stranote, e quindi esorcizzabili. Inoltre, qualcuno lo ricordi alla destra, non sta bene cantare vittoria prima di avere disputato la partita. Non sta proprio bene, non fa parte del galateo. E poi, è proprio scritto nei cieli della patria che il destino italiano debba dipendere da Berlusconi e dalle sue "troupe"? Va da sé che il centrosinistra è alla canna del gas. Sono bastati pochi senatori fra Mastella, Fisichella e Dini, per buttare all’aria il difficile e complicato contratto con 19 milioni d’italiani, stipulato a suon di voti nell’aprile 2006. Mentre passeggia sconsolato in Strada Maggiore a Bologna, Romano Prodi non riesce a farsi una ragione di come sia finita questa vicenda politica: pazienza cadere, ma cadere per lo sgambetto di gente che rappresenta soltanto se stessa, questa è peggio che una beffa, è una tragedia travestita da farsa. Dunque, adesso, la parola spetta a Veltroni. Il quale ha un compito mica da poco: deve convincere metà del Paese, quella parte che non ha voglia di rivedere certe facce al potere, che i giochi non sono fatti. Recuperiamo la saggezza padana di Giovanni Trapattoni: non dire quattro se non l’hai nel sacco. Una buona campagna elettorale riduce le distanze. Il centrodestra trionfante di oggi è tutto da valutare: in 20 mesi di opposizione non ha espresso un’idea che sia una, se non quella di mandare a casa Prodi. E allora quale sarebbe la sua miracolosa credibilità? E va bene, Veltroni ha un compito proibitivo. Ma può anche puntare a far diventare competitivo il Partito democratico. Qualsiasi partita giochi, nel 2008, in coalizione o da solo, deve guardare qualche metro davanti a sé. Non troppo lontano: nel 2009 ci sono le elezioni europee. Ecco, perdere "bene" le elezioni politiche e vincere benissimo l’anno dopo, facendo diventare il Pd il primo partito italiano sarebbe già un ottimo progetto: sempre ammesso che il centrodestra berlusconiano vinca davvero il confronto nell’immediato. Perché "Walter" avrà tanti difetti, ma si sa che come "homo televisivus" non è inferiore a Berlusconi: anzi, forse lo batte, perché è più giovane, piace alle mamme, alle nonne e alle zie, è rassicurante, può essere convincente. Quindi non vale la pena di fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Anziché alzare le mani in segno di resa, conviene ricordare ciò che ebbe a dire il senatore Enrico Morando, rivolgendosi ai parlamentari del centrodestra, durante la discussione in aula per uno dei tanti voti di fiducia, a proposito dell’andamento della spesa pubblica: «Noi non siamo granché, ma voi avete fatto un disastro». Quindi conviene giocarsela. Con qualsiasi formato, da soli o in alleanza con la sinistra. Perché in questo momento l’importante è partecipare. Esserci. D’ora in avanti si assisterà al lento calo dei sondaggi favorevoli alla destra: è fisiologico, non ci vuole un indovino. Non appena il confronto si scalda, la mobilitazione cresce. E quindi c’è spazio per una proposta politica stringente. Non il paradigma del "ma anche", ma un progetto politicamente impegnativo. Perché in questo momento vale più il messaggio che si offre all’opinione pubblica che non il perimetro dell’alleanza. Se la sinistra, una sinistra moderna, ha un segnale o un messaggio da dare al Paese, questo è il momento per mostrarlo. Il pessimismo, e il masochismo, sospendiamoli, almeno per qualche settimana.
07/02/2008