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Per chi vota Cofferati

12/04/2001

I cinque anni del centrosinistra sono stati dominati dalla concertazione e dalla relativa retorica, ma con lo scorrere dei governi il rapporto con il sindacato è diventato sempre più contorto. Pazienza per la Cisl, la cui immagine è illuminata a ritroso dalla scelta terzaforzista di Sergio D’Antoni, e che si trova nelle condizioni utili per giocare a rimpiattino con l’eventuale governo di centrodestra. Ma il punto più delicato riguarda ovviamente la Cgil: fra il sindacato "socialdemocratico" di Sergio Cofferati e l’ulivismo di Francesco Rutelli c’è una sfasatura culturale, oltre che politica. Quel che è certo è che l’universo sindacale è cambiato vistosamente: sotto una leadership di sinistra classica si stratificano quote talora maggioritarie di iscritti con inclinazioni elettorali moderate. Dunque è qui l’inciampo per le sorti del futuro partito forte della sinistra. La catena di montaggio D’Alema-Amato-Cofferati è perfetta per assemblare un oggetto politico solidamente novecentesco. I sindacalisti si infastidiscono quando risentono parlare del sindacato come cinghia di trasmissione fra il partito e i lavoratori. Ma ormai il problema è che esiste la cinghia, forse esisterà il partito, ma non è detto che esistano iscritti al sindacato trasformabili meccanicamente in elettori. Per questo la Cgil non può perdere il rapporto, per conflittuale che sia, con l’Ulivo. Il sindacato d’opposizione dura e di piazza aperta non resusciterebbe per miracolo con un governo Berlusconi, dato che ormai i profili del conflitto e del negoziato sociale sono più articolati e sfumati che mai. Insomma, la destra non conviene a Cofferati, malgrado sull’ala estrema si coltivi il miraggio del sindacato di guerra. E anche a Rutelli, dopo le improvvisazioni e le insolenze sull’Irpeg, conviene confermare la non belligeranza, cioè almeno l’eco della concertazione che fu.

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