14/09/2000

Il partito del realismo osserva con sufficienza l’"autocandidato" Francesco Rutelli. La parola d’ordine è prendere tempo: lasciare che Giuliano Amato incassi gli effetti della finanziaria, che venga fuori il suo profilo di uomo di governo. A quel punto, dicono i realisti, Rutelli si sgonfia. Svanisce il mistero gaudioso della coppia Beautiful. Dopo avere invaso i media, il ticket dei Cicciobelli smette di bamboleggiare. Il sindaco di Roma e il suo consigliere non proprio occulto, Lady Barbara, si riveleranno una coppia di palloncini colorati per la sagra dei dilettanti: la politica è un’altra cosa. Ma il lancio di Rutelli non è solo "l’americanismo senza America" su cui ha ironizzato il gauchiste Cesare Salvi. Alle sue spalle c’è il network ulivista, e una cometa che si chiama Romano Prodi. Il verbo prodiano si confronta con Bruxelles, si misura con le analisi di Arturo Parisi, prende corpo nel circuito dei vecchi collaboratori del Professore, gioca di sponda con Walter Veltroni, lambisce tutti coloro che dall’"ottobre nero" del 1998 si sentono vedovi dell’Ulivo, viene elaborato dal pool di sindaci del Nord-est coordinato dal primo cittadino di Venezia, Paolo Costa. Per capire qualcosa in più della Rutelleide occorre auscultare il network. Ecco che cosa si capta. Ed ecco perché il sindaco di Roma sarebbe la buona novella. Innanzitutto, lo schema Rutelli ha una storia. Gli apostoli dell’Ulivo si incontrano a fine giugno a Camaldoli, al seminario della rivista dehoniana "Il Regno". Ci sono Prodi, Abete, Castagnetti, Enrico Letta. C’è Giovanni Bazoli, ultima e inconclusa invenzione politica dell’uomo che con un gioco di prestigio lanciò Prodi, cioè Nino Andreatta. E c’è Rutelli. Nasce lì l’idea meravigliosa? Niente verbali, nessuna conferma sulla trama. Però si ragiona, si discute, si fanno ipotesi. Sta di fatto che, due mesi dopo, l’ingresso in campo di Rutelli viene accolto con sorrisi di soddisfazione stampati sul viso. Anche se Giuliano Amato giura immediatamente di essere amico di Prodi da trent’anni, il network comincia a fare i conti sulla possibilità che Francesco diventi davvero il Prodino. Le domande che si incrociano fra Prodi e i prodiani sono cruciali: Rutelli è in grado di rimobilitare gli ottantamila attivisti dispersi dei Comitati per l’Ulivo? È capace di guadagnarsi quella credibilità, nell’economia e nell’università, che era l’atout del Professore? E a parte il successo di Tor Vergata, riuscirà a riprendersi il consenso cattolico di base che aveva fatto da "valore aggiunto" all’Ulivo? Le risposte del network prodiano aprono spiragli, a partire dai numeri. La premessa è che Berlusconi vede lievitare i sondaggi perché non ha un competitore. Il 36 per cento vantato da Forza Italia è il prodotto di un vuoto. Quindi non è troppo tardi per costruire un candidato. Nelle analisi di Parisi c’erano due possibilità di ripartenza: o un accordo politico contrattato fra gli otto partiti del centro-sinistra, oppure una ricomposizione dell’alleanza attraverso la scelta della leadership, per varare quel "nuovo inizio" di cui parla Rutelli (e che tanto dispiace ad Amato). Quanto al circuito cattolico, il sindaco di Roma deve lavorare molto, perché ha buoni rapporti con il volontariato, ma poco altro. In compenso, per ciò che riguarda la gerarchia le preoccupazioni sono minori, perché Ruini e Sodano staranno attenti a non sbilanciarsi (semmai, lo faranno solo con un’operazione "last minute"). Nello scenario dei prodiani, la candidatura di Rutelli avrà serie conseguenze sui partiti del centro-sinistra. I Ds friggono, perché la loro leadership è divisa fra uno "sconfitto forte", D’Alema, e un "vincitore debole", Veltroni (anche il ds Michele Salvati lo scrive in un articolo in bozze per la rivista "Reset": «Nei Ds ci sono due strategie senza leader, la sinistra e i "liberal"; e ci sono due leader senza strategie, D’Alema e Veltroni»). Ma Veltroni verrebbe rafforzato dalla scelta di Rutelli; e Baffino non può rischiare: se appoggia un Amato perdente, esce dal gioco. Inoltre, se Rutelli sfonda si registrerà un riassestamento generale del puzzle ds: anche Veltroni lascia capire che l’attrazione di un leader vincente, dopo la paranoia dello sconfittismo, investirà perfino amatiani indiscussi come Bersani, Fassino, Melandri. I popolari non hanno troppe scelte: Castagnetti ha tentato una sua onesta resistenzina, chiedendo a Parisi di qualificare Rutelli come leader del centro e ricevendone il solito rifiuto, mentre anche gli esponenti più legati all’identità di partito, Mattarella, Franceschini, Soro, sembrano essersi convinti: «Rutelli è l’unico che dà l’idea che si riparte». Franco Marini, che conserva una presa sui settori importanti del Ppi, quelli che portano voti, pare possibilista. Quanto ai disegni di Sergio D’Antoni, la diagnosi dei prodiani è infausta: «Ha perso il giro». Serpeggia ottimismo, nei vecchi ulivisti, malgrado "l’accelerazione pericolosa" della loro candidatura-creatura. Amato si può mettere di traverso? Non è detto. Nelle conversazioni con Bruxelles si scommette sulla praticabilità di uno scambio onorevole: candidatura a Cicciobello contro mano libera a Giuliano per realizzare un finale di governo pirotecnico e passare di nuovo alla storia, come nel ’92. Basterà? Amato è un realista anche lui e sa controllare la propria irritazione. Ha già ammesso: «Non si può andare in battaglia subendo il generale». Ergo, giocherà le sue carte ma senza barricate. Il network gli apre implicitamente la via dei grandi incarichi internazionali. Senza trascurare che la sua figura di tecnico-politico risulterebbe preziosa in caso di risultato elettorale in pareggio. Insomma, alla "convention degli eletti" reclamizzata da Veltroni si deve arrivare a giochi fatti. E solo a quel punto, a incoronazione avvenuta, Prodi potrà uscire dal suo riserbo europeo, contemplare Cicciobello e annunciare al mondo: «Questo è il mio figlio prediletto, e in lui mi sono riconosciuto».

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