La puntata di "Report" di domenica 13 novembre su Raitre era intitolata "Il re della bistecca" ed era dedicata al gruppo modenese Cremonini. In questa rubrica non si vogliono giudicare le vicende messe sotto esame: storie di carne più o meno avariata (secondo la tesi di "Report", forniture a una multinazionale di partite di manzo non esente dal rischio Bse; esportazione in Russia di carne in scatola inquinata dal botulino e a Cuba di altro scatolame in condizioni inquietanti). La cronaca dice che l’azienda ha smentito tutto, il ministro anche lui modenese Carlo Giovanardi si è detto «allibito» per l’attacco all’immagine di una società come l’Inalca, e per converso il giorno dopo in Borsa il titolo è caduto malamente. Qui si parla di tv e interessa solo segnalare un aspetto: e cioè che l’inchiesta del programma di Milena Gabanelli era una prova di raro impegno giornalistico. Una di quelle indagini che richiedono tempo, viaggi, documenti, testimonianze, verifiche. Poi può darsi che l’autrice dell’inchiesta (Sabrina Giannini) abbia preso un abbaglio, che i documenti proposti siano cartaccia e che lo scoop non stia in piedi. Se alla fine il gruppo modenese dovesse sbugiardare "Report", molti si divertiranno perché potranno dire che Gabanelli e soci sono gente ideologizzata (magari fondamentalista- vegetariana) che odia il capitalismo (e la carne). Intanto però sul piano formale il programma, come non di rado succede a "Report", era un concentrato di tv fatta sul campo. Popolare e professionale ad un tempo. Capace di raccontare con scansioni serrate, senza mai perdere il filo, inseguendo una traccia in tutto il pianeta e alla fine proponendo senza esitazione i risultati. Una di quelle indagini che sui giornali si leggono sempre più raramente, perché non c’è tempo, costano, il pubblico vuole sapere chi ha vinto sull’"Isola", e che cosa ha detto Al Bano, non che un dodicenne è morto di botulino lassù a Mosca. E che nessuna rete televisiva ormai progetta, perché contraddice la logica della tv, intrattenimento più pubblicità: insomma, non si può incassare la pubblicità se si aggredisce il capitalismo. Ma che è l’unica cosa che assomiglia ancora a un oggetto evocato solitamente a sproposito: il "servizio pubblico", per chi ancora ci crede (noi crediamo che tutta la tv sia infotainment, da Celentano a Berlusconi a Baudo: ma certe volte questa certezza vacilla).
25/11/2005