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Quei colpi di fantasia del senatore Umberto

25/03/2004

Solo il genio politico di Umberto Bossi ha consentito alla Lega di sopravvivere a Silvio Berlusconi. Ragion per cui è legittimo chiedersi qual è il futuro del movimento leghista, oggi che il suo leader è stato toccato dalla mano di una sorte cattiva. Il senatùr è riuscito miracolosamente a svincolarsi dal fallimentare governo di centrodestra nel 1994, a sopravvivere altrettanto miracolosamente alle accuse che dopo il ribaltone lo volevano "traditore" e "ladro di voti". Ma tutta l’esperienza della Lega Nord è stata un prodigio politico di Bossi. Agli inizi, Bossi ha capitalizzato l’ondata popolare contro i partiti. La Lega era l’alieno, la forza barbara che raccoglieva il rancore covato a lungo contro la partitocrazia. Il capo del Carroccio offriva parole inedite, soluzioni stratosferiche, rompeva tabù in serie: ma soprattutto è sempre riuscito a presentare come realtà politica un bluff da tavolo di poker che gli altri protagonisti politici non hanno mai voluto andare a vedere. La forza politica della Lega infatti è sempre stata circoscritta. Anche nel Nord, nella mitologica Padania, i numeri elettorali delle camicie verdi sono sempre stati minoritari. Ma Bossi è riuscito a presentare il suo movimento come una forza che al momento opportuno, nel caso di una gravissima crisi economica o di un conflitto sociale senza precedenti, sarebbe riuscito a trascinare tutto il Nord verso la secessione, o verso altre ipotesi istituzionalmente dirompenti. Ci voleva una grandissima fantasia e anche una improntitudine politica straordinaria per riuscire a sostenere questa strategia. Almeno in un paio di occasioni Bossi è stato scoperto, o quasi: ad esempio nel settembre 1996, allorché la Marcia sul Po, che doveva essere una manifestazione in tutti i sensi fluviale, si rivelò un fallimento di fatto. Oppure quando le elezioni "padane", nei gazebi della Lega, mostrarono la faccia folklorica e tutto sommato domestica del Carroccio. Tutte le invenzioni di Bossi sono state funzionali ad accreditare alla Lega una forza che la Lega non aveva. E lui lo sapeva. Il senatùr ha inventato la mitologia leghista, Braveheart, il paganesimo celtico, le ampolle con l’acqua del Monviso, ha istituito il parlamento e il governo padano senza che nessuno gli mandasse i carabinieri. Per supplire con il movimento a una forza politica declinante. Ha sostenuto tutto e il contrario di tutto, nell’esclusivo interesse della sopravvivenza del Carroccio. Per lui Alleanza nazionale è stata la "porcilaia fascista", e Berlusconi venne da lui esorcizzato come "Berluskaz", "Berluskaiser", l’uomo della mafia o di chissà quali altri poteri. Ha convinto D’Alema che la Lega era "una costola della sinistra", si è scatenato contro il Vaticano e i "vescovoni". Infine ha negoziato da perfetto giocatore d’azzardo il contratto elettorale del 2001 con Berlusconi, riuscendo a mascherare con i collegi sicuri il fatto che la Lega fosse finita sotto la soglia del 4 per cento nel proporzionale. Da tempo ci sono serie ragioni per argomentare che la Lega è un fenomeno politico residuale. È una forza politica a cui Forza Italia finora ha concesso il diritto all’esistenza, ma il suo destino probabile è di finire come una sorta di corrente del partito di Berlusconi. Dietro Bossi, infatti, non c’è una classe dirigente, una leadership con la stessa rutilante fantasia populista del capo. Ci sono figure come Roberto Maroni o Roberto Castelli, ma al momento nessun protagonista che lasci intuire doti carismatiche. Bossi era stato convinto a rientrare nell’alleanza con il Polo da Giulio Tremonti, il quale gli aveva spiegato che la secessione l’aveva già fatta l’Europa, portandosi via pezzi di sovranità nazionale. L’Umberto aveva capito. Ha continuato le sue polemiche contro Forcolandia e i "frammassoni", ma ripiegando nel tepore della Casa delle libertà. Tuttavia era già arrivato al bivio: il federalismo sembrava ormai una chimera, con le riforme padane continuamente rinviate dai suoi alleati. Avrebbe avuto bisogno di un altro colpo di fantasia, di scomporre rapidamente i giochi, di sottrarsi all’inerzia del doroteismo del centrodestra. Non ne ha avuto il tempo: ed è possibile che a questo punto la politica italiana andrà a una velocità troppo superiore a quella che una Lega senza Bossi può permettersi.

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