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Quel lungo applauso per dire addio a Silvio

26/04/2007

Con una delle sue battute a effetto, Silvio Berlusconi ha tentato di riprendersi Pier Ferdinando Casini e soci. Accolto da un’ovazione inattesa dal congresso dell’Udc, ha detto, sprizzando soddisfazione: «Ma non avrò mica sbagliato indirizzo? Qui mi sembra di essere a un congresso di Forza Italia». Tutto sembrava confermare ciò che Berlusconi ha sempre sostenuto: le giravolte di Casini sono puro teatrino politico, gli elettori dell’Udc torneranno nella Casa delle libertà, perché «senza di me non vanno da nessuna parte». In realtà Berlusconi, con il suo eterno ritorno, ha mostrato ancora una volta il suo carisma: eppure si è preso la scena, ma non si è preso il congresso. Ha oscurato per qualche ora Pier Ferdinando, ma non ha scalfito la posizione assunta dall’Udc. Bruno Tabacci ha confermato la sua linea di distacco dalla Cdl, nella convinzione che l’area centrista ha tutto da guadagnare da una scomposizione degli schieramenti attuali. Rocco Buttiglione ha detto che il Cavaliere «è il passato». Casini ha chiuso il congresso sottolineando nuovamente le differenze dalla Cdl («Abbiamo salvato l’onore dell’opposizione votando la missione in Afghanistan»). Lo confortano i sondaggi, che sembrano favorevoli per il suo partito, nonostante la sua posizione, né fuori dal centrodestra né con la Casa delle libertà, costituisca uno schema politico non chiarissimo. In ogni caso la manovra a mani libere di Casini assicura all’Udc una centralità e un potere di interdizione che sulla base dei voti e delle percentuali non avrebbe affatto. Sono le gioie della proporzionale, e di tutti i sistemi che tengono in vita le forze minori. Ma è anche un segno politico consistente, perché alla fin dei conti il congresso dell’Udc ha mandato in giro alcune notizie tutt’altro che insignificanti. Come nelle barzellette, la prima notizia è, per Berlusconi, quella buona: la sua figura è ancora quella di riferimento, è il federatore dei moderati, l’uomo della provvidenza con l’alone della storia. Attraverso l’ovazione congressuale, il corpo dell’Udc gli ha trasmesso il proprio amore viscerale, la gratitudine per il passato, quando Forza Italia ospitò diversi naufraghi della Dc (e non soltanto della parte dorotea), tenendoli in vita alle elezioni del 1994. Ma poi come in tutte le barzellette viene la notizia cattiva. Vale a dire che dopo avere riconosciuto al Cavaliere la dimensione dell’icona politica, la sua appartenenza al Pantheon del partito dei moderati, l’Udc gli ha anche spiegato con aperte parole che il centrodestra può, e anzi dovrebbe e deve, fare a meno di lui. Quindi, al caloroso riconoscimento sentimentale si affianca una profonda distanza politica. Perché naturalmente l’Udc sta guardando avanti. Come sempre sono i democristiani a fiutare meglio, con l’olfatto sopraffino dei segugi, le tracce nell’ambiente politico: si tratta di scovare nel centrodestra una leadership diversa. Di far cominciare, finalmente, l’età postberlusconiana. Per dare un’opportunità alle generazioni politiche successive, prima che la vitalità, senile ma vitaminica ed energizzata, del Cavaliere conduca tutti i suoi possibili successori a un triste viale d’autunno, nel cadere delle "feuilles mortes". È per questo motivo che al congresso dell’Udc è stato accolto con notevoli applausi anche Gianfranco Fini. Perché il popolo dell’Udc sa che l’eredità di Berlusconi si disputerà proprio tra l’ex democristiano Casini e l’ex «fascista del 2000» Fini (e naturalmente gli udicini non nascondono la convinzione che Pier Ferdinando sia favorito nella corsa alla poltrona più alta, proprio perché Fini è gravato da troppe zavorre culturali e ha tentato strappi, modernismi ed eclettismi fin troppo estemporanei). Se viene fuori un messaggio è che l’Udc è intenzionata a tenere aperta la fase di disimpegno per il tempo necessario a dare corso alla fisiologia della politica, e cioè a individuare il successore di re Silvio. E come si può capire, la linea di Casini è complementare agli interessi di diversi settori del centrosinistra. Anche nell’Unione c’è bisogno di tempo per fare emergere una leadership nuova. In particolare nel partito democratico occorre il tempo sufficiente a designare il capo del partito e il futuro candidato alla competizione elettorale (che possono anche coincidere, ma non necessariamente). Quando gli interessi convergono, il terzo può anche godere. Significa che Romano Prodi può guardare con maggiore tranquillità alla durata del suo governo. Mentre per ciò che riguarda il centrodestra, il messaggio di Casini dice che è inutile cercare spallate contro Prodi: è arrivato invece il momento di passare alla politica.

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