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Referendum: il buonsenso dice sì

11/10/2001

Fra poche ore si aprono i seggi per uno degli appuntamenti in teoria più significativi e in pratica più sottovalutati della vita politico-istituzionale italiana. Nel disinteresse pressoché generale, infatti, si giunge al referendum "confermativo" sulla riforma costituzionale di stampo federalista approvata in extremis dall’Ulivo nel finale della scorsa legislatura. Proprio la disattenzione dell’opinione pubblica, degli organi di informazione, e anche delle forze politiche, sembra testimoniare che l’epoca dei grandi investimenti sul ridisegno istituzionale si è chiusa. A destra, Forza Italia ha favorito il disinteresse dei cittadini; Alleanza nazionale guarda con implicito fastidio ai progetti che modificano la struttura statale; solo la Lega ha assunto un atteggiamento apertamente ostile contro il "falso federalismo" dell’Ulivo, motivato anche dal fatto che se la legge costituzionale viene confermata dal voto popolare (senza quorum) sarà politicamente difficile scardinarla agitando la bandiera della devolution alla padana. Ora, dal momento che ci si sta giocando un pezzo di Costituzione, occorre valutare fra i tanti almeno due aspetti. Come hanno rilevato diversi costituzionalisti, la "bozza Bossi-Speroni", cioè la ricetta devolutiva imposta dalla Lega all’alleanza di centrodestra, è un tipico documento leghista, poco più che una dichiarazione politica, non già un articolato costituzionale con un’accettabile tecnicalità giuridica. Costituzionalmente, carta straccia. In secondo luogo, una indagine demoscopica dell’Istituto Cattaneo (condotta da Salvatore Vassallo e presentata di recente a Bologna nell’ambito del Compa, il salone della comunicazione pubblica) ha mostrato con tutta evidenza che il tema del federalismo non è più un oggetto di scontro politico fra gli elettori. A eccezione dei militanti della Lega e di Rifondazione comunista, l’opinione pubblica di destra e di sinistra tende a condividere insomma un’idea di federalismo moderato, ragion per cui è difficile aspettarsi guerre di dogmatismi sulla devolution. Si tratta, dice il rapporto del Cattaneo, di una "fiducia disinformata" verso le strutture regionali e la prospettiva federale. Ma, disinformata o no che sia la fiducia, si tratta di un atteggiamento che difficilmente può essere trasformato in una mobilitazione contro la legge approvata in Parlamento. Nello stesso tempo, sarebbe perlomeno bizzarro che dopo anni di chiacchiericcio federalista si volesse spazzare via la prima riforma approvata nella direzione del federalismo. Nessuno lo vuole, infatti. Neanche la maggioranza dei "governatori" e degli amministratori pubblici di centrodestra. Vorrebbe liberarsi del federalismo ulivista solo Bossi. Perché teme che una conferma del federalismo moderato sarebbe una campana a morto per il federalismo radicale. Più prosaicamente: Bossi ha il timore che il via libera del referendum svuoterebbe ulteriormente il ruolo politico della Lega. Ecco, fra le molte ragioni di normale buon senso che inducono a votare sì al referendum di domenica 7 ottobre, c’è anche quella di rendere superfluo il movimento di Bossi. Guardata con occhi disincantati, questa ragione prende anche un aspetto irresistibilmente bipartisan.

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