La fiction televisiva serve per fare ascolti, per creare eventi, per uscire dal circuito malefico dei reality show, per smuovere l’etere. Fosse tutto qui, benissimo. Ma da qualche tempo gli sceneggiati, genere in cui svetta Raiuno, sono anche altro. Qualcosa di culturalmente rilevante, e non per la qualità televisiva o narrativa. La qualità è come il coraggio per don Abbondio: che ci sia o non ci sia dipende da fattori imponderabili; chi ce l’ha se la tiene, e chi non ce l’ha non se la può dare. Eppure vorrà dire qualcosa se la Rai ha prodotto, con precisione e puntualità chirurgica, una fiction come "Il cuore nel pozzo", dedicata alle foibe: vuol dire che la televisione di intrattenimento provvede a sottolineare un mutamento nella percezione della storia. Ricostruisce la memoria, asseconda una revisione. Se vogliamo dirlo con una formula, da qualche tempo stiamo assistendo a un processo che prende le mosse da Renzo De Felice (o meglio, il De Felice della nuova vulgata, usato politicamente in chiave "anti-antifascista") e si stende sui programmi di intrattenimento popolare. Non solo. Oltre ai padre Pio che evocavano l’idea di un paese arcaico e miracolistico, e al dignitoso Giovanni XXIII che massimizzava comunque la figura popolare del "papa buono", si sono visti sceneggiati con il repubblichino buono e il partigiano mutrioso, più o meno alla pari nelle ragioni e nei torti, traducendo così per l’auditel il revisionismo corrivo delle ultime stagioni. Dopo di che c’è stato il Meucci, storia da sussidiario, ma capace di trasmettere un’italianità ferita, funzionale all’idea nazionalpopolare che l’Italia deve contare di più. Vedremo la fiction su Cefalonia con Zingaretti, augurandoci che il patriottismo non diventi giulebbe. Assisteremo al prossimo De Gasperi di Raiuno con curiosita ma anche con timore, non tanto dell’interpretazione di Liliana Cavani, ma dei prevedibili tentativi di appropriazione di De Gasperi stesso. Tempo fa, la storia veniva riscritta con lentezza, attraverso lo stratificarsi delle interpretazioni (ne è un esempio il saggio di uno storico di valore, Agostino Giovagnoli, con il suo ultimo lavoro, "Il caso Moro. Una tragedia repubblicana"). Se ora invece la storia la fa la tv, non c’è poi da stupirsi quando qualcuno, fra revisionismo e televisionismo, sostiene pubblicamente la tesi molto "fictional" della lunga dittatura comunista sull’Italia repubblicana.
14/04/2005