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rischiatutto pd

05/03/2009

Era il 21 dicembre del 1994, a Bologna. Nel primo pomeriggio, fra il suono di zampogne e l’odore di croccante del mercatino di Santa Lucia, i congiurati pre-ulivisti arrivarono alla spicciolata in Strada Maggiore al civico 44, cioè nella sede di Nomisma, il centro di studi fondato da Prodi. Si fece avanti un popolare veneto, Gianclaudio Bressa, che era stato sindaco di Belluno, e aveva risanato le finanze comunali applicando qualche efficace schema aziendale, meritandosi la curiosità di Nino Andreatta. Fra gli invitati al tavolo di Nomisma si stagliava la figura di Vannino Chiti, un precursore del rapporto fra ex comunisti e popolari. Arturo Parisi controllava i presenti con il suo sguardo indagatore. Non avrebbe mai immaginato che un giorno si sarebbe immolato per impedire l’elezione plebiscitaria proprio di Franceschini alla segreteria del Pd. Gomiti sulla scrivania, mani sotto il mento, Prodi taceva. Finché prese la parola Bressa: «Romano, tocca a te. Occorre costruire l’alleanza di centrosinistra, e solo tu puoi farlo. Devi metterti a capo di un partito, un movimento, qualsiasi cosa che sblocchi la situazione». Il giovane Franceschini – già, c’era anche lui – annuiva pensosamente. Preistoria. Ma forse fa capire meglio le idee di Franceschini, e il suo modo di guardare la politica. Può darsi insomma che il ferrarese Dario il Traghettatore non sia affatto banale politicamente. È uno che a cinquant’anni spaccati, e con l’aria dell’eterno neolaureato, si è assunto il compito di cantare e portare la croce per sei, sette, otto mesi. Mentre intorno a lui tutti, da Bersani a D’Alema, lo guardano come per dire: vai avanti tu perché a noi scappa da ridere. Cioè per vedere se alla fine il Pd sopravvive. Della sua biografia si sa praticamente tutto: il papà partigiano bianco, la mamma figlia del vecchio podestà fascista, il giuramento solenne sulla Costituzione. Una faccia da "About a Boy", sulle orme del romanziere Nick Hornby, e sulle note della straziante canzone "Killing Me Softly" del relativo film; una professione da brillante avvocato cassazionista, che a un certo punto, nel 1994, non accettò il centrismo di Mino Martinazzoli e filò con la setta dei cristiano-sociali. Un ragazzo politico nato che scrive romanzi ispirati dal realismo magico, come "Nelle vene l’acqua d’argento", subissato di premi in Italia e in Francia, o come "La follia improvvisa di Ignazio Rando", storia di un archivista (e qui siamo ai corsi e ricorsi, perché anche Giovanni Astengo, l’alter ego di Walter Veltroni in "La scoperta dell’alba", era un archivista). Comunque è inutile contare sulle definizioni altrui. Meglio non chiedere al linguacciuto Renzo Lusetti, rutelliano dalla palpebra smorta: «Franceschini? È il primo democristiano eletto segretario di un partito comunista». Secondo Francesco Cossiga, sarà il cattolico che darà una sterzata verso il Pse. Per quelli che amano i giochi di parole, è «Dromedario», sottolineato Dario, l’animale che dovrà tentare la traversata del deserto. Per Emanuele Macaluso, uno dei critici più aspri del Pd, si merita un’apertura di credito: «Dopo Prodi, sembra che nel Pd una politica di sinistra moderata e moderatamente laica possa essere fatta solo da una personalità che proviene dalla Dc e dal mondo cattolico». Per i prodiani, i parisiani, gli ulivisti, Franceschini è un’incognita. Qualcuno invita a guardare al passato. E a non considerare automatiche le mosse del "Dromedario", bestia politica capace di abbinare pazienza, resistenza e velocità. E quindi, e forse, non ci si ritrova proprio a terra. L’ex capogruppo dc nel consiglio comunale di Ferrara ha alle spalle alcune convinzioni e una cultura. Tutt’altro che banale, e più "di sinistra" di quanto non si immagini. E quindi le sue scelte sono ancora tutte da compiere. "Ce la farà?", ha titolato sull’"Unità" Concita De Gregorio, stampando sulla prima pagina di un giornale di certezze un dubbio metafisico. In effetti la road map del neosegretario è piena di buche e irta di ostacoli. A chi gli chiede: vabbè la politica, ma a che punto è il nuovo romanzo?, lui risponde, con il suo incorreggibile accento ferrarese: «Era quasi pronto. Vorrà dire che ora lo terminerò a ottobre, quando avrò un sacco di tempo per me». Si tratta di un understatement, ma ha il pregio di mettere a fuoco i tempi di un mandato in cui il protagonista si gioca tutto, compreso il partito. Intanto però vanno chiarite quali sono le scelte principali da impostare. Perché è pur vero quel che dice il "Dromedario": «Oggi come oggi il territorio è decisivo». Dunque niente partito leggero e leggerezze varie. Significa che c’è da rimettere in tiro un partito battuto e mortificato, inseguito dall’ala della sconfitta, stiracchiato dalle tensioni del partito del Nord che non ne può più dell’oligarchia romana, lacerato dalle discussioni sull’etica e il testamento biologico. Eppure nello stesso tempo è necessario delineare alcune scelte strategiche, da mettere in campo alle europee e nelle importanti elezioni locali di giugno. Su questo terreno la sofferenza è garantita. Ancora Macaluso: «A questo punto c’è da chiarire se il Pd mantiene quella che è stata definita "vocazione maggioritaria" o se occorre costruire un sistema di alleanze, e con chi». Purtroppo non è così semplice. Il Pd è reduce dall’«errore gravissimo» (definizione di Parisi) commesso con la nuova legge per le europee, sbarramento al 4 per cento. Una decisione maturata poco prima delle dimissioni di Veltroni, e che oggi, in una situazione più fluida, di fronte a opzioni aperte sul fronte delle coalizioni possibili, può destare rimpianti. «Ma su questo fronte», dice Enrico Letta, «Franceschini si è già espresso nel suo discorso di investitura: l’arco del possibile va dall’Udc a quella parte di sinistra radicale che accetta di mettersi alla prova del governo». E quindi qual è il punto di leva su cui agire? «Franceschini ha il compito di rovesciare il rapporto fra Roma e i territori. Deve de-romanizzare il Pd». Il tentativo di rivitalizzare la segreteria con le nomine di leader regionali come Chiamparino ed Errani va in questa direzione. Ma si profila un problema in più. Qualcuno sostiene infatti che si sta profilando una crisi acuta della classe politica diessina, anche nelle regioni rosse, testimoniato dall’emergere irresistibile, a Firenze, del boyscout Matteo Renzi, un tipetto talmente evangelico che non ha remore a definire Franceschini «il vicedisastro»; a Bologna è candidato sindaco il centrista e prodiano Flavio Delbono, a Ferrara un altro ex Margherita, Tiziano Tagliani, genero dell’andreottiano di lungo corso Nino Cristofori, ha vinto la corsa per la successione al ds Gaetano Sateriale. A Forlì è diventato sindaco un ex repubblicano, lo storico Roberto Balzani, alla Provincia di Bologna c’è la cattolica Beatrice Draghetti. A sentire il politologo Paolo Pombeni, editorialista del "Messaggero" e delegato all’assemblea del Pd, c’è il rischio di «un Pd in salsa Dc», con possibili esiti di disaffezione della base, con spaccature e diaspora: «Benché la componente centrista nel Pd sia minoritaria, tutto ciò che viene dalle area ex dc, di fronte ai problemi della macchina ex comunista, risulta alla fine più presentabile agli elettori». Per un ex popolare e teorico della Dc come Marco Follini, Franceschini ha più chance di quante a priori molti non fossero disposti a riconoscergli: «Ma il primo problema è cercare di dimostrare che il suo Pd non sarà un veltronismo senza Veltroni. Ho l’impressione che lui non creda molto nell’ipotesi Udc e farà il possibile per accentuare una venatura di sinistra, scegliendo fior da fiore i possibili alleati nell’ex Arcobaleno». Una strategia piuttosto dalemiana. «Sì, ma prima di pensare alle alleanze Franceschini dovrà affrontare le elezioni, e di qui a giugno dovrà inventarsi una narrazione politica. Finora non ha sbagliato: l’antiberlusconismo, la Costituzione, le ronde, "anche un moderato alza la voce di fronte agli strappi di Berlusconi", servono a rigenerare tensione competitiva. E anche a ridurre la concorrenza di Di Pietro. Ma nelle prossime settimane occorrerà mettere le mani nel partito, cioè nell’organizzazione». E questo è nelle corde di un politico «con la faccetta da bravo ragazzo» (Franco Marini)? Sorride, Follini: «Se uno gli cita l’assessore alla sanità della Regione Campania, Angelo Montemarano, Franceschini sa chi è, e che è l’uomo di maggiore potere a Napoli dopo Bassolino». Mentre Veltroni… «A citargli Montemarano, Veltroni spalancava gli occhi stupefatto». n

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