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Romano si è fermato a Bruxelles

30/06/2005

Quante divisioni ha Prodi? La vecchia e irridente boutade di Stalin sul papa circola con insistenza dentro la Margherita. Perché è vero che Francesco Rutelli è risultato il vincitore quasi totale dell’ultima ordalia dentro il centro-sinistra. Ma si può lasciare incompiuto il lavoro? Rutelli aveva due obiettivi: primo, bloccare il processo di integrazione riformista, la lista unitaria, la Federazione, e mantenere in vita il suo partito come un’entità autonoma e distinta; secondo, silurare la linea politica di Prodi. Se occorreva, se le circostanze lo richiedevano, se c’era l’opportunità, affondare lo stesso Prodi. Non per cattiveria. Semplicemente per convenienza politica. Per un interesse di parte. Se Prodi è la lista unitaria, per la Margherita rutelliana Prodi è il nemico. Sta di fatto che l’assemblea della Margherita in cui era avvenuto il regicidio era stata un colpo di alta teatralità. La cicoria di Rutelli. Un’istrionica performance di Franco Marini, grande attore marsicano. Le strategie di De Mita anagrammi inclusi, "si scrive Ciriaco e si legge Cicoria". La sapienza neodemocristiana dei dirigenti della Margherita si era manifestata con abilità spettacolare nella capacità di affondare la linea politica di Prodi mentre si spergiurava sulla sua leadership. La lista unitaria? Una fissazione, un dettaglio da liquidare. Romano? Diamine, il nostro leader, che nessuno discute. Subito dopo, le convinzioni dei prodiani, da Arturo Parisi a Willer Bordon, da Giulio Santagata al povero Papini maltrattato da De Mita come esempio di prodismo inconsistente, erano state ridotte al rango di ubbie fastidiose. Nel giro di poche ore la stupefacente vittoria alle elezioni regionali era stata sacrificata sull’altare del sacro egoismo di partito. Sublime esempio di autolesionismo? Oppure calcolo cinico da portare in perfetta consapevolezza alle conseguenze estreme, cioè alla liquidazione in saldo della leadership prodiana? Impossibile certificarlo. Di certo, se un partito come la Margherita si incarica del tiro al listone, cioè del maggiore investimento politico di Prodi e dei prodiani, vuol dire che il partito di Rutelli è disposto anche a un sacrificio del re, indifferente all’idea che ciò possa provocare il rovesciamento della scacchiera. Ancora il 26 maggio, all’uscita dall’assemblea generale della Confindustria, Prodi era convinto che i giochi fossero ancora tutti aperti, e soprattutto che Piero Fassino e i Ds lo avrebbero seguito senza esitazioni. Soprattutto che fosse ancora praticabile la strada della "coalizione dei volonterosi", un listino, un Ulivetto, un residuo sufficiente a tenere in vita la prospettiva unitaria e ad assicurargli una base politica. Un passo indietro: Prodi era tornato da Bruxelles atteso come il patrono tutelare del centrosinistra. Aveva dissolto manovre e manovrine, ombre e spettri partitici o neocentristi agitando lo strumento delle primarie. Il successo delle elezioni regionali lo aveva indotto a considerare compiuta la prima fase del lavoro e a rinunciare all’idea dell’investitura dal basso. Ritrovarsi poche settimane dopo nella condizione di problema politico del centrosinistra risultava sbalorditivo, addirittura straniante. Forse in quel momento sfuggiva a Prodi che il colpo di Rutelli, bissato in un secondo tempo con le dichiarazioni finali per l’astensione al referendum sulla fecondazione assistita, costituiva un uppercut micidiale per la sua posizione. Il Professore era tornato in Italia dopo gli anni alla Commissione europea sulla scia di un "heri dicebamus", cioè per riprendere il filo, spezzatosi nella crisi dell’ottobre 1998, di una iniziativa politica sintetizzabile in tre punti: completare razionalmente lo schema bipolare; sviluppare un’esperienza riformista capace di integrare laici e cattolici, superando steccati storici; predisporre le condizioni di un’esperienza di governo esente dai ricatti e dalle defezioni dei partiti dell’alleanza. Tutto questo si è dissolto come una bolla di sapone. Non appena la prospettiva unitaria è stata abbattuta dal fuoco amico, si è capito che la parola tornava ai partiti. Ossia che il centrosinistra esiste nella realtà dei fatti soltanto in quanto alleanza negoziale tra le numerose forze e debolezze politiche della cosiddetta Unione. E che il progetto riformista diventa un’ipotesi esclusivamente teorica e proiettata in un futuro indecifrabile. Di fronte a questa situazione, Prodi aveva alcune soluzioni disponibili. Bombardare il quartier generale, cioè esercitare il ruolo del capo rivoluzionario, che non cede ai compromessi e accetta l’azzardo di sconvolgere il proprio campo. In pratica, assecondare la rottura all’interno della Margherita, "firmare" la scissione dei prodiani, sfidare la certezza della propria caduta in quanto leader dell’Unione e contemplare sovranamente le rovine. Bagno di sangue e attesa della catarsi. In alternativa, il Professore poteva cercare una nuova dura trattativa, trovare una difficile mediazione, in ogni caso fare tutto il possibile, e anche oltre il possibile, per tenere in vita il progetto ulivista: continuare quindi a interpretare se stesso come il portatore di una iniziativa politica unitaria individuando un punto di equilibrio fra Ds e Margherita, fra Rutelli e Fassino. L’esito è stato completamente diverso, al punto da lasciare interdetti anche i più fedeli seguaci di "Romano". Si può rinunciare improvvisamente a una linea politica dopo avere minacciato la guerra, su quella linea? Che cosa ne sarà, dei prodiani? E che cosa rischia, Prodi stesso? Certo, sul momento né la Margherita né i Ds potevano permettersi il lusso di rinunciare a lui e al suo ruolo di sintesi fra culture politiche separate. Così è stato steso un complesso concordato, fondato su uno scambio molto ineguale. Le primarie a Prodi, come momento di reinvestitura politica. L’Ulivo, nello sgabuzzino. E il potere, naturalmente, ai partiti. Il tutto tenuto insieme con un patto di legislatura sul candidato premier che uscirà dalle primarie. Sempre che alle primarie fissate per ottobre si arrivi davvero, dato che non sfugge a nessuno il carattere esclusivamente simbolico di questa soluzione: un confronto fra il Professore e antagonisti come Bertinotti, Pecoraro Scanio, Di Pietro, eventualmente Mastella, forse addirittura il Pannella schifato dal centrodestra astensionista, senza un confronto fra programmi di governo alternativi, assomiglia più a un espediente che a una battaglia vera e legittimante. Chissà, è un espediente che può anche funzionare. Ma in questa vicenda Prodi ha perso metà della propria dote politica. Nel senso che gli è stata sottratta, con studiato e lieve cinismo, la leadership della coalizione. Gli è rimasta la candidatura a premier, in quanto figura di fatto extrapolitica indicata da alcuni partiti dell’Unione. Ci vuole molto a capire che si tratta di una condizione debole? Di qui a ottobre ogni giorno può portare una tensione, un contraccolpo, una crisi. Incombe sul paese il rischio del grippaggio dei conti pubblici, con la necessità di una finanziaria monstre e di conseguenza la tentazione di un governo di garanzia nazionale, prospettiva che scompaginerebbe tutti i giochi. E non è finita: non appena Prodi «dominerà» le primarie, come ha predetto Fassino, nella Casa delle libertà si aprirà la discussione sul candidato da opporgli. Con la tentazione di sostituire il cavallo azzoppato Berlusconi operando un salto generazionale e politico, privando così il centro- sinistra della sua arma più potente, l’antiberlusconismo. Di fronte a questo percorso a ostacoli, a Prodi rimangono soltanto le sue qualità personali e quelle guadagnate sul campo: il prestigio ancora vivo in quei settori dell’opinione pubblica che rimpiangono la carica politica dell’Ulivo, il simbolo della vittoria del 1996; il consenso di pezzi di establishment che hanno sempre apprezzato il Prodi uomo di governo, mentre guardavano con insofferenza crescente l’uomo delle lambiccate strategie pensate con l’ideologo ulivista Parisi. E infine la sua cocciutaggine, la capacità di incassare la testa nelle spalle e di tirare avanti. Sempre che la fatica improba di costruire un centro-sinistra che non si lascia costruire non stanchi alla fine anche il candidato Prodi.

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