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Sbrego alla milanese

15/03/2001

Ovvio che a Giuliano Amato la devolution alla Formigoni non piaccia. Per la sua finezza giuridica è una iniziativa grossière. Andrea Manzella oppone alle sgangheratezze referendarie del centrodestra l’«intima coerenza» istituzionale della riforma nata con i 316 voti. Antonio Maccanico si preoccupa come sempre degli equilibri messi a rischio. Di sicuro, in attesa della Consulta, per i costituzionalisti del centrosinistra la devolution è uno strappo. Anzi, uno "sbrego", in quanto resuscita le velleità disgregatrici e il lessico nordista dello schmittiano e protobossiano Gianfranco Miglio. In realtà non risulta chiara neppure la convenienza politica di un referendum contro lo Stato centrale («un colpo di gong», dice Roberto Formigoni annunciando cazzotti), proprio quando la Casa delle libertà è pronta a prendere il potere. Silvio Berlusconi dal canto suo non ha mai sventolato il federalismo. Il suo piano di megaopere necessita di una cabina di regia padronale, non di vincolistica regionale. Il fatto è che Formigoni non è uno dei numeri due del Cavaliere. Si sente piuttosto il potenziale numero uno della futura Casa delle libertà. Per la ragione che lui, il governatore "irakeno", il capo populista delle milizie cielline, il cattolico con il dono della cattiveria, è già una sintesi tosta degli spiriti di Forza Italia e della Lega, dato che a un certo machismo manageriale di stampo berlusconiano associa l’avversione antirisorgimentale e paraleghista per Roma. Come capo della destra unita riscuote anche il sostegno di An, per il modo militare con cui interpreta il rapporto con la sinistra. C’è solo un inciampo. Il papalino Formigoni potrà pure convincere l’eclettico Fini che il federalismo lumbard è strumentalizzabile politicamente come arma contro l’Ulivo: ma come farà il vecchio elettorato patriottico di An a mandare giù l’idea dell’Italia fatta a spezzatino?

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