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Se la cultura diventa un cult

04/11/2004

C’è una vecchia convinzione che si replica stanca e infallibile in ogni discussione sulla tv, e cioè che nella televisione del futuro privatizzato il privatizzabile, dovrà comunque permanere un’isola di servizio pubblico, una rete esente dal mercato. Per fare che cosa, boh. Il satellitare e il digitale consentono di coprire ogni nicchia di pubblico. In realtà questo è uno dei campi in cui l’offerta crea la domanda. Su Sky, con semplici pressioni sui tasti del telecomando si possono acchiappare decine di documentari, biografie, approfondimenti, "stories and history". Il canale Cult Network, diretto da Massimiliano "Max" Fasoli, dissemina la propria programmazione di preziosità d’archivio (visti ad esempio eccellenti reliquie sui Rolling Stones), ma non solo. Nei prossimi quattro mesi, a partire da novembre comincia "Fa la differenza" (speriamo ci mettano l’apostrofo, se è un imperativo) un progetto leggermente radicale, che andrà seguito anche per capire se la tv movimentista ha un senso e un seguito. Si tratta di una programmazione tematica, interamente dedicata alle culture del Sud del mondo, largamente comprensiva di programmi autoprodotti, e di 20 film realizzati dai principali registi della cinematografia asiatica, africana e latinoamericana. L’Africa, Cuba, l’America del Sud, le rotte asiatiche: sembra un lungo festival multietnico, di qui a febbraio, su cui forse si potrà misurare se esiste una coincidenza possibile fra una cultura "altra", diversa dal flusso televisivo comune, e un qualche pubblico. Ovvero se coloro che alla tv chiedono letteratura, antropologia, il post-Malinowski, non-fiction "alta", musica dell’altrove, cinematografia dell’altronde, un docu inedito sul Rwanda, se insomma tutti quelli che nelle inchieste di mercato assillano il marketing reclamando inchieste, scienza, attenzione alle etnie, mappe degli indizi culturali, sono gente credibile o dei volgari infingardi. Detto questo, vale la pena di seguire il progetto di Cult Network, anche per verificare se la sua cifra a suo modo "estrema", ossia la valorizzazione di tratti radicali di specificità in ogni manifestazione culturale o spettacolare, che connota stilisticamente il canale, rappresenti una caratteristica rilevata dal, e magari in sintonia con un, pubblico. Noi lo speriamo, anche perché il servizio pubblico, con le sue pedagogie punitive, ci ha già seviziato tutti abbastanza.

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