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Una vita in rosso

01/08/2002

Eccolo, Luca Cordero di Montezemolo, il Candidabi-le. Di ritorno da Torino, dopo un incontro alla Fiat con Paolo Fresco. Mentre gli esperti di Formula Uno si chiedono se riparte una nuova avventura alla Ferrari e i voyeur politici spettegolano sulla Farnesina. Come uomo simbolo, dopo i trionfi della Ferrari (tre titoli piloti e tre costruttori, pronti a diventare quattro in poche settimane), è un pezzo pregiato. Dopo l’affaire Mediobanca, lui stesso ha mostrato qualche incertezza: prima ha parlato di una pausa di riflessione, poi dell’avvio di un nuovo ciclo. E allora che succede, avvocato Montezemolo? «Semplicemente che vedrete ancora Montezemolo alla guida della Ferrari. E per un motivo esplicito: per me la Ferrari rappresenta una scelta di vita. È parte di me, come lo sono le persone che ci lavorano. Lo è il prodotto, lo è il territorio. Un distacco sarebbe stato uno shock. Però questo non significa che sarei rimasto a qualsiasi condizione». Qualcuno voleva dimezzarla? «Vede, le vittorie danno belle soddisfazioni: ma io non dimentico i tempi difficili, gli anni fra il 1991 e il 1993 passati senza vincere una gara. Se oggi siamo a questi standard, lo dobbiamo agli azionisti che hanno avuto pazienza, e che ci hanno dato una grande autonomia operativa e decisionale. Oggi sono orgoglioso che la Ferrari sia un elemento importante nell’ambito del gruppo Fiat. Se siamo arrivati al punto in cui siamo, lo dobbiamo anche al grande supporto del gruppo. Ma anche alla Ferrari, come in tutte le aziende, ci vuole uno che comanda, decide e si assume le responsabilità. Insomma, ci volevano le condizioni per continuare a lavorare bene, insieme alle persone con cui si è fatta la grande fatica: che sono anche uno dei motivi per cui dico sì, rimango alla Ferrari». Anche se ora ci saranno azionisti nuovi. «È un tema inedito per un’azienda che è stata sempre o di un unico padrone, Enzo Ferrari, o con una Fiat molto defilata, ai tempi di Ferrari, e poi con la Fiat unico azionista, a parte il figlio di Ferrari, Piero, con il 10 per cento. La nota positiva è che questo dischiude nuove possibilità di sviluppo. Ci potrebbe essere il rischio che a comandare siano in troppi, ma sono sicuro che l’operazione lascerà alla Ferrari la sua autonomia e rapidità di decisione, mantenendo inalterate le caratteristiche di cui sono geloso: un grande rapporto con il territorio, con una cultura che è quella della provincia operosa e non provinciale, che ha le finestre aperte sul mondo, ha gli stabilimenti più innovativi, e il rapporto con i fornitori tecnologici d’eccellenza. Tutto questo è essenziale, e non cambia se l’azionista è uno o sono dieci». Ma non si è stancato del mondo delle corse, della sua esasperazione? «Dall’esterno sembra che tutto sia perfetto, sincronizzato, freddamente calcolato. Ma in effetti il lavoro è durissimo, ogni quindici giorni c’è il giudizio universale delle corse, occorre restare concentrati ossessivamente sullo sforzo di migliorare. In questi anni il miglioramento è stato grande, proprio perché non ci siamo fermati sugli allori: questa tensione la si sopporta solo insieme a persone di qualità straordinaria». Anche vincere genera assuefazione. «Eppure ogni volta le sensazioni cambiano. La vittoria a Magny Cours, domenica scorsa, è stata una soddisfazione enorme, perché nella vita ripetersi è più difficile che vincere. E in quel momento sa a che cosa ho pensato?» Avrà pensato: e adesso voglio vedere… «Ma no. Ho pensato agli italiani. Al nostro paese, a quanta gente lavora con la stessa nostra passione. Alle tante aziende di primissimo livello, che se la battono tutti giorni e non hanno la stessa nostra visibilità. Per la prima volta non ho pensato solo agli azionisti o ai tifosi: ho pensato, accidenti, abbiamo dimostrato di essere una bella cosa di questo paese». Molto patriottico. Forse anche molto politico. «Nel senso migliore in cui si può intendere la politica, sicuramente. Io non ho il disprezzo demagogico per le responsabilità che si assumono politicamente». In sostanza qualcuno le ha chiesto o no di fare il ministro? «Questa volta no, nessuno». Secondo i boatos degli ultimi giorni, pare che Berlusconi fosse impaziente e lasciasse passare il messaggio: "Luca deve decidersi". «A me non l’ha detto». Ma nel caso avrebbe accettato un compito del genere? «Diciamo che a me non piace l’armiamoci e partite. Non mi dispiacerebbe fare qualcosa per il mio paese». Insomma, è vero che lei era a un punto di svolta. «In questi mesi mi sono posto il problema. La conclusione è che la mia vita è legata alla Ferrari e che qualunque altra cosa avessi fatto rischiava di farmi sentire un estraneo. Anche se in questo momento ho tutto da perdere. Tuttavia non mi piace chi se ne va da vincitore facendo calcoli interessati. Ho pensato: resto alla Ferrari, ma penso anche a qualcosa di mio, un progetto a livello imprenditoriale che non c’entri niente con le macchine, ma che mi permetta di pensare che in prospettiva nella vita ci può essere qualcosa di mio». Lei passa per un uomo immagine, ma è un maniaco del lavoro. «Ho 54 anni. Voglio ancora impegnarmi a fondo quattro o cinque anni. Il dopo Ferrari, quando verrà, è pieno di possibilità. Ho anche il desiderio di occuparmi degli altri, mettendo a disposizione relazioni ed esperienze. A qualcuno potrà sembrare un’idea singolare, e invece è un elemento importante del mio futuro. E poi la famiglia, mia moglie Ludovica, i figli. Con i grandi mi diverto molto, ed è bello vedere crescere la più piccola, Guia. Ma è lontana da me l’idea del ritiro». Intanto si riparte dalla Ferrari. «Mi ha fatto piacere che Todt e Schumacher, tra gli altri, abbiano detto che sono pronti a ricominciare. La Ferrari di oggi non sarebbe mai giunta ai livelli attuali senza il nostro gruppo». Ciò significa che i contratti di Todt e Schumacher verranno allungati oltre il 2004? «Abbiamo sempre detto che se la squadra si fosse sciolta, si sarebbe sciolta tutta insieme. Quindi la risposta è sì. Il mio obiettivo è portare il vertice della Ferrari fino al 2006». Nel frattempo lei dovrà anche completare il rilancio della Maserati. «Abbiamo due modelli sportivi, macchine che si mettono in concorrenza con la Porsche, e alla fine dell’anno prossimo presenteremo una berlina firmata Pininfarina che si misurerà con le grandi Mercedes e Bmw, per coprire una fascia di mercato nuova per l’auto italiana. È una sfida impegnativa: la crescita della Maserati è importante perché l’anno scorso ha venduto 1800 esemplari, ma già quest’anno ne venderà 3600, e nel 2005, dopo l’uscita della quattro porte, abbiamo un obiettivo di 6000 auto». Con la Fiat in difficoltà si può fare? «Sono prodotti molto diversi dalle Fiat. Inoltre, sono convinto che la Fiat ha tutti i mezzi per poter superare questa crisi. E nel passato tutto ciò che abbiamo chiesto la Fiat ce l’ha dato». Saranno necessari investimenti massicci. «Questo rimane uno degli obiettivi dell’ingresso in Borsa. Vedevo tre ragioni per la quotazione: restituire agli azionisti i soldi che non si sono presi in questi anni, dato che la Fiat ha sempre lasciato i dividendi dentro la Ferrari per investire. Secondo, dare al gruppo Ferrari-Maserati risorse ulteriori per lo sviluppo. Terzo, assicurare incentivi alla gente che ci lavora per coinvolgerla nel futuro dell’azienda. Poi la Fiat ha pensato di fare diversamente, cedendo il 34 per cento a Mediobanca, ma l’obiettivo della Borsa rimane assolutamente prioritario». Quanto ha pesato in queste fasi l’assenza di Gianni Agnelli? «L’Avvocato è un punto di riferimento talmente forte che è difficile pensare che un suo distacco non significasse molto. Però devo dire che io, come altri, ho apprezzato molto gli interventi di Umberto Agnelli quando ha dovuto gestire due assemblee molto delicate, Ifi e Ifil, in assenza del fratello. E quindi, anche in condizioni difficili, che ci sono state, oggi mi sembra di vedere un impegno molto significativo». Si sono viste perlomeno alcune difficoltà di comunicazione. «In questi mesi la Fiat ha scontato il fatto di dover prendere molte decisioni, continue, immediate. Io stavo lavorando bene con il gruppo di banche con le quali si preparava la quotazione. La Fiat ha fatto un ottimo affare vendendo a Mediobanca. Adesso si tratta di continuare a lavorare per dare soddisfazione agli azionisti attuali e futuri, perché come si è visto il valore sul mercato della Ferrari è un valore importante. Se questo, come credo, è il frutto di un buon lavoro, credo che si possa ripartire in velocità».

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