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Il braccio di ferro delle due destre

09/11/2006

La Vicenza bis organizzata da Silvio Berlusconi in piazza dei Signori non è andata benissimo, nonostante il grande spettacolo inscenato dal Cavaliere. Se n’è avuta la riprova con il cambio di tattica del centrodestra, dalla "spallata" alle "larghe intese". L’obiettivo è sempre la caduta del governo Prodi e la sostituzione in corsa di una maggioranza con un’altra, con le elezioni anticipate che restano sullo sfondo, in attesa di chiarimenti. Tuttavia la Casa delle libertà continua a mostrare le sue divisioni interne, mascherate a malapena dall’obiettivo comune di togliere di mezzo l’intruso Prodi. Il tema non è marginale perché investe il futuro del confronto politico. Vale a dire con chi si misura l’Unione. Con quale avversario. Nei mesi successivi alla esigua vittoria elettorale del centrosinistra, si era assistito a una visibile manovra di smarcamento di alcuni settori della Cdl dall’egemonia berlusconiana. Pier Ferdinando Casini aveva mosso l’Udc mettendo esplicitamente in discussione la leadership futura ma anche presente del Cavaliere. Nello stesso tempo, era apparsa spettacolare la convergenza al centro di Gianfranco Fini, che ha dato un impulso ulteriore alla marcia di avvicinamento di An al Partito popolare europeo: non era sfuggito che si trattava di una mossa destinata a mutare ancora, in prospettiva, il formato della coalizione di centrodestra. Nonostante le resistenze interne impersonate dalla destra di Francesco Storace, infatti, lo spostamento al centro del partito ex missino costituisce un processo di notevole rilievo per lo schieramento di centrodestra. Non soltanto perché rafforza quell’asse con l’Udc (il cosiddetto "subgoverno", come lo battezzò "Il Riformista") che si era manifestato durante la legislatura precedente, e aveva determinato attriti considerevoli, resi emblematici dall’aver provocato la caduta del ministro dell’economia, Giulio Tremonti; ma anche perché rende ancora più evidente la presenza di "due destre" all’interno dell’alleanza, due aggregazioni politiche, due culture, due ispirazioni di fondo. Se il cammino di Fini avrà successo, la Casa delle libertà risulterà una coalizione in cui le componenti centriste e quelle "forzaleghiste" si misureranno per l’egemonia e per la scelta del leader politico. Da una parte avremo una concentrazione post-democristiana, quindi tendenzialmente moderata, in cui la leadership si giocherà tra Fini e Casini; dall’altra un aggregato composto da Forza Italia e Lega Nord, a vocazione liberista e nordista. Nel breve periodo non sono prevedibili conflitti vistosi all’interno della Cdl, dal momento che proprio la debolezza numerica dell’Unione è il mastice più efficace per il centrodestra. Ma in un tempo più lungo, se Berlusconi dovesse accettare di divenire più l’azionista di riferimento che l’amministratore delegato della coalizione, la partita si giocherà proprio fra queste due componenti della destra. Sotto questo aspetto, le larghe intese rappresentano più che altro un espediente tecnico, che ha come unica finalità la scomposizione del sistema politico. Ma se la struttura bipolare regge, sarà di estremo interesse verificare l’evoluzione del centrodestra. Proprio perché la concorrenza fra Casini e Fini potrebbe accentuare la vocazione centrista e moderata dei loro partiti, e chiarire qual è l’anima della futura Cdl. E di riflesso potrebbe essere interessante anche per l’Unione misurarsi con l’anima moderata del centrodestra: perché di fronte a un blocco mediatore come quello composto dall’Udc e da An il centrosinistra troverebbe utile qualificarsi in senso riformista e liberalizzatore. Finora la prevalenza del forzaleghismo ha consegnato il nostro sistema politico a una caricatura di se stesso: a destra i fautori del berlusconismo-tremontismo-leghismo, a sinistra una coalizione che molti hanno interesse a qualificare come conservatrice. Per questo forse conviene a Fini e Casini lavorare su tempi non frenetici: i mesi giocano a loro favore, e in questo senso possono preparare la strategia più adeguata per giocarsi la leadership senza l’assillo ingombrante di Berlusconi. Ma intanto occorrerebbe che i due cinquantenni del Polo si chiarissero vicendevolmente le idee, mettendo anche nel conto la sostanziale inutilità di spallate e scrolloni per far cadere Prodi. La posta, infatti, per loro è più alta: e si trovano davanti alla prima vera occasione di far vedere se sono in grado di giocare fino in fondo il match per la leadership.

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