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S’io fossi Littizzetto

26/03/2009

Vista la puntata di "Che tempo che fa" dell’8 marzo, dedicata a Luciana Littizzetto. Per lo scrivente era quasi un obbligo, perché siamo stati noi de "L’espresso" a sdoganare sul fronte culturale la madamina, ai tempi del primo libro che avrebbe dato il via alla coltivazione di titoli su sedani, cavoli e piselli. Ebbene: noi abbiamo un’adorazione, e anche qualcosa di più audace, per lei; ma lei, madama Littizzetto, sta battendo in testa. È diventata ripetitiva. Tutta una puntata a ridire che gli uomini farebbero bene a lavarsi i piedi, che ce l’hanno corto o credono di averlo corto (il che è lo stesso), e via ribadendo. Fabio Fazio aveva la faccia professionale di chi è costretto a risentire per l’ennesima volta la solfa. Quindi, dovremmo consigliare alla formidabile Littizzetto un certo rinnovamento del repertorio. Perché prima era una ragazzaccia sboccata, fisica, "material girl" nel vero senso del termine, con una comicità davvero "slapstick" (in Italia non c’è quasi nessuno capace di farla: solo lei e Corrado Guzzanti). Adesso sembra la parodia di una suocerina. Triste, diventare suocere prima di essere state mogli. Tuttavia il programma è stato riscattato dall’irruzione finale di Daniele Liotti, Massimo Ghini e Riccardo Scamarcio, che hanno celebrato la Littizzetto reinterpretando il celeberrimo "S’i’ fosse foco" di Cecco Angiolieri. Una performance tutta scritta, in crescendo, sempre al confine con la volgarità senza mai cadervi: «S’io fossi di Trapani… ti trapanerei! S’io fossi di Chiavari…», pausa, e ancora pausa, «ti… sorprenderei!». Un pezzo di televisione da antologia, una di quelle prove d’autore e d’attore che avvengono sì e no ogni dieci anni.

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