gli articoli L'Espresso/

Supermarket Destra

22/01/2009

Se si interpretassero i conflitti interni alla destra secondo i criteri della politica tradizionale, le conclusioni sarebbero obbligate: questi stanno insieme con lo sputacchino, e non appena una guerricciola più vera delle altre farà da innesco, il Pdl e l’alleanza con la Lega esploderanno come fuochi d’artificio nel cielo estivo di Villa Certosa. Il catalogo è presto fatto: la tassa sugli immigrati, avversata da Berlusconi proprio lui in persona, il caso Malpensa e Linate, Lufthansa e Air France, la riforma della giustizia secondo Fini e secondo Alfano, il presidenzialismo pretestuoso di Berlusconi e il federalismo più o meno finto preteso da Bossi e concesso per finta da Tremonti. Non serve nemmeno aggiungere le osservazioni dei cattolici di "Avvenire" sul fallimento della social card e del bonus alle famiglie che fa male alle famiglie. E lasciamo pure sullo sfondo la mediocrità delle misure anticrisi e il grottesco della politica economica (vedi la detassazione degli straordinari in tempi di cassa integrazione). Lo si era scritto in mille modi che la destra era un caravanserraglio. Che i secessionisti non potevano convivere con i centralisti, e quelli che volevano i soldi al Nord non potevano fare la coppia di fatto con quelli che volevano pascoli per le clientele del Sud. Ma tutto ciò, che in sistemi normali porterebbe al disfacimento dell’alleanza di destra, nel mondo metapolitico del berlusconismo si manifesta come una dialettica debole, al massimo come una girandola di ballon d’essai che servono ad abituare il pubblico al fatto che non c’è limite all’improvvisazione, e che ogni pensiero, per quanto debole, può essere pensato e diffuso (e poi bloccato, ma intanto è circolato). Quindi il bilancio si prospetta facile. Si sta creando uno stile di tipo neo-doroteo, che consiste nel piccolo cabotaggio, adattando progressivamente soluzioni scadenti a problemi non capiti, sperando che la decrepitezza delle strutture del nostro paese rappresenti un argine contro la modernità della crisi mondiale. Ma se questa sostanziale arcaicità della destra, autentico medioevo più la televisione, fosse in realtà la sua forza? Il paese rivela ogni giorno la sua faccia antica, invecchiata, rassegnata. La società italiana si è abituata ai disfunzionamenti che la collocano fuori dalla contemporaneità europea: non protesta nemmeno più. Cerca di arrangiarsi, come sempre, facendo acrobazie. Ma non ha voglia, a quanto pare, di investire nel cambiamento. Assiste al lento degrado delle condizioni civili e operative senza inalberarsi, con il fatalismo di chi pensa che probabilmente il futuro sarà peggiore, ma ci penserà qualcun altro. A questo egoismo fatalista delle corporazioni e delle tribù, la destra berlusconiana va benissimo. È una destra supermarket, la versione da terzo millennio della Dc più secolarizzata, senza i preti ma con folle di soubrette al seguito. Come diceva Carlo Donat Cattin, la forza democristiana consisteva nel differenziare la ditta: destra, sinistra, Giulio, Ciriaco, Mino, Virginio, Arnaldo, Paolo Emilio, Oscar Luigi. Era definito dai politologi un sistema "poliarchico", cioè un potere multiplo, un’aggregazione di blocchi di consenso, a cui si accodavano principi elettori, valvassori, valvassini, signorotti locali, furieri, servi della gleba, briganti e giullari vaganti. Sembrava inattaccabile, un muro di stucco molle in grado di assorbire ogni attacco e ogni crisi. E oggi? C’è un "popolo" di moderati presunti che si accontenta, e perciò gode; o si arrabbia, si spaventa e vuole essere rassicurato da questa o quella fazione governativa: ed è per questo che anche oggi, osservando il variegato carrozzone della destra, è difficile non provare un brivido al pensiero che potremmo essere destinati a morire berlusconiani.

Facebook Twitter Google Email Email