gli articoli L'Espresso/

T’adoriam Silvio divino

27/04/2000

Travolgente, micidiale, irresistibile Berlusconi, proprio come ai vecchi tempi del Milan trionfante di Gullit e Van Basten, o nelle radiose giornate intorno al 27 marzo 1994. Lo si può chiamare ironicamente "Cavalier Traballa", come fa talvolta il politologo Giovanni Sartori sottolineando i suoi ondeggiamenti in dribbling sul filo della legge elettorale. Si può infilzarlo come ha fatto Arturo Parisi, il piccolo leader dei Democratici ridotti al lumicino, nel salotto di Bruno Vespa, ridicolizzandone l’autismo anticomunista. Si può deprecarne la furbizia elusiva, visto che ha rifiutato il faccia a faccia televisivo con Massimo D’Alema. Mentre coloro che conservano un’i- dea illuminista della politica possono anche levare lamenti per il modo in cui ha trasformato la consultazione regionale in un’ordalia politica. Eccetera eccetera. Ma alla fine, dopo la spallata del 16 aprile, sarà meglio interrogarsi sulle ragioni profonde della vittoria berlusconiana. Anche per provare a capire se il debordante successo alle regionali può diventare il trampolino di lancio per la campagna di liberazione finale, quella delle elezioni politiche. In cui si assisterà ineluttabilmente al grande ritorno, ai danni degli usurpatori. Ci sono tutte le premesse, per la verità. Eppure il cavaliere non è cambiato. È sempre lui, inceronato, con i suoi doppiopetti squadrati, con l’eterno sorriso stampato sul volto o digrignante quando accusa le "sinistre" di brogli. I suoi avversari continuano a pensare che sia il capo di un partito di plastica. Ha suscitato ironie con il "kit del candidato", provvisto di orologi, cravatte aziendali e manuale di retorica forzista. L’invenzione della "cafonave", come l’ha chiamata Michele Serra, sembrava il suggello simbolico di una visione politica fra lo show e la crociera, un "love boat" per platee televisive corrotte nel gusto dai serial Mediaset. E allora che cosa è accaduto? Dove è cambiato lo schema? Dal 1996 a oggi il centro-sinistra avrà pure commesso numerosi errori, taluni follemente autodistruttivi, ma in ogni caso ha portato a casa risultati sostanziali. L’approdo europeo, in primo luogo. Che aveva creato le condizioni per passare dall’epoca dei sacrifici a quella del rilancio economico. Tassi d’interesse ai minimi, inflazione bassa, crescita ancora lenta ma in promessa di accelerazione. Era difficile perciò immaginare spazi che consentissero al Polo di incunearsi giocando sulla qualità della sua proposta politica "virtuale". Sarebbe stato legittimo invece pensare che l’abitudine, se non il consenso, al governo, avrebbe sterilizzato il forcing del Polo. Invece no. Berlusconi è riuscito a imporre il proprio "modello". A convincere la maggioranza degli italiani che la coperta del Polo può stendersi confortevolmente sull’intera società nazionale. Che la "Casa delle libertà" è la residenza naturale per la maggior parte dei cittadini dell’Italia che ha virato la boa del secolo (e soprattutto dei tormentati anni Novanta). Agnelli dixit Un miracolo. O, meglio, un secondo miracolo, un miracolo ulteriore dopo quello del 1994, reso ancora più clamoroso dal fatto che allora il creatore di Forza Italia poteva presentarsi sulla scia del nuovo, mentre adesso il suo modello è composto di materiali risaputi. Della riscossa berlusconiana, in realtà, c’erano stati segnali e indizi, per chi voleva coglierli. Per esempio, la sintesi attribuita all’Avvocato Agnelli dopo l’elezione in Confindustria di Antonio D’Amato («Hanno vinto i berluschini») interpretava con un sottofondo di stizza ma anche di intuito un coacervo di sentimenti diffusi nel mondo imprenditoriale. Tuttavia, malgrado l’affiorare di una sbrigativa voglia di trattare più rudemente con Palazzo Chigi, e nonostante un evidente risentimento contro i vincoli della concertazione e i freni sindacali, sembrava improbabile che si potesse manifestare una corale volontà contraria al centro-sinistra. Già: che cosa offre infatti Berlusconi all’Italia contemporanea? Offre una miscela eterogenea, composta di passato e di presente. Il passato è quello para-quarantottesco, fondato su un anticomunismo così veemente da apparire fuori tema e fuori tempo. Non solo: al passato sono da ascrivere anche le sue propensioni verso il sistema proporzionale, dopo essersi esibito come fervente adoratore del maggioritario. E passatista, a rigore, appare anche l’impegno a ricostruire un centro politico simil-democristiano. Quanto al presente, c’è in campo tutta la sua fantasia economica. Ispirato dai programmi liberalizzatori del leader popolare spagnolo Aznar, il leader di Forza Italia è riuscito a trasformare una promessa in una realtà effettuale. Nelle sue parole, la "ricetta" di Forza Italia assume la consistenza di un programma rigoroso e infallibile, destinato a resuscitare le energie depresse dal centralismo post-comunista. Una simile combinazione ideologico-programmatica sarebbe sembrata implausibile fintanto che il centro-sinistra poteva mostrare una "mission" esplicita, quella del risanamento dei conti pubblici in chiave europea. È diventata invece un’arma letale nella bonaccia fiacca che ha impaludato il governo D’Alema. Ma bisogna aggiungere che non solo il centro-sinistra, una volta disseccato l’Ulivo, è entrato nel piattume, ma è stata buona parte della società italiana ad abbassare le braccia: come se non desiderasse altro che il ritorno al laissez faire domestico, dopo gli impegni imposti dall’Europa. Il popolo delle partite Iva Il gran ritorno di Berlusconi viene celebrato infatti mentre si chiude macchinosamente la parentesi di mobilitazione pubblica durata da Tangentopoli all’ingresso nell’euro. Sotto il profilo politico, con il ritorno all’ovile della Lega si ricompone una delle fratture che avevano attraversato il corpo dell’Italia democristiana. L’aggregato elettorale del Polo, a questo punto, si sovrappone quasi esattamente a quello del vecchio pentapartito. Ecco un ceto politico di democristiani senza troppi preti, di socialisti senza socialismo, di liberali senza ubbie veteroliberali. Che al Nord si identifica con il popolo delle partite Iva, con l’antistatalismo leghista, con le pulsioni di una piccola borghesia ipersensibile ai richiami della "libertà", a cui si promettono fragorose riduzioni fiscali e la prospettiva dell’"enrichissez-vous". E che nel Mezzogiorno si avvale dell’apporto nazionalpopolare di An, forse non più essenziale ma comunque ancora utile. A smontare la costruzione ideologica del Polo rimangono in tavola gli elementi sparsi di una macchina politica totale. Un supermarket che offre "valori" cattolici, liberalismo "sturziano", libertà economico-imprenditoriale in versione antistatalista, insofferenza per le regole, disattenzione per i diritti, severità verso l’immigrazione, mano dura sul problema della sicurezza, moderazione nelle enunciazioni ed estremismo nei modi. Il modello politico di Berlusconi è una combinazione assolutamente postmoderna. Sfonda perché è postmoderna l’Italia di oggi, in cui le ideologie e le tradizioni culturali sono state disciolte dal potentissimo solvente della televisione e dei consumi. Per contrastarlo, non basta né il "partito del premier" né qualche trovata di coalizione: occorre ritrovare il filo per comprendere in profondità la società italiana, al Nord come al Sud, senza distinzioni.

Facebook Twitter Google Email Email