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Telecamere in camicia nera

23/06/2005

È andata in onda di recente sull’ammiraglia Raiuno la quinta edizione del Premio Giorgio Almirante («Istituito dalla fondazione Marzio Tremaglia e promosso dal ministero degli italiani nel mondo», dice il comunicato), svoltasi a Roma «nella suggestiva cornice» del Teatro Valle. Presentavano la serata, patrocinata da donna Assunta Almirante, Fabrizio Gatta e Clarissa Burt, a suo tempo frequentatrice di "Porta a Porta" con annesso burqa, candidata di Alleanza nazionale, americana nazionalizzata o giù di lì. È vero che talvolta le ammiraglie fanno naufragio, ma a dire la verità lo spettacolo non era più orrido di altre manifestazioni di tipo marchettistico o di promozione turistica, con il contributo della pro loco e dell’azienda locale dei materassi. (Chiariamo subito che fin qui sta parlando un losco comunista, puzza sotto il naso, felicissimo di spregiare qualsiasi manifestazione culturale della destra e insensibile al valore essenziale della popolarità e magari anche del popolo). Ma addentriamoci post-ideologicamente nella trasmissione. Regia velocissima, come se si dovesse contenere in tempi ristretti un numero straordinario di ospiti. Per cui, sul palco ecco un asciuttissimo Raimondo D’Inzeo, olimpionico, a cui i conduttori sono riusciti soltanto a far dire che, ancora oggi, monta a cavallo «tutte le mattine». Applausi scroscianti e smammare il D’Inzeo. E poi via con Al Bano, «una leggenda», con Peppino di Capri, «un mito», eccetera. Tutto di corsa, e con una leggera ansia se l’ospite faceva mostra di trattenersi un momento di troppo. Ma ciò che faceva una certa impressione era il clima un po’ triste, malgrado la suggestiva cornice, tipo festa di famiglia con i nostri cari, che non sono proprio fenomeni ma si sa che ogni scarrafone ecc. Non per riaprire il tormento della cultura di destra, e dello spettacolo di destra, e dell’intrattenimento di destra, ma la serata del Premio Almirante sembrava esattamente il ritratto di An sotto l’occhio di Gianfranco Fini. Da una parte il leader ipermoderno, subacqueo, estemporaneo, talmente deideologizzato che domani potrebbe annunciare di darsi alle pubbliche relazioni in una multinazionale (o alla strategia della comunicazione, o al marketing virale), e dall’altra il partito, vecchio, prevedibile, stento, con le solite facce. Solita zuppa, solita destra: non la risolleverà Peppino con la sua triste "Panchina", e neanche Al Bààààààno.

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