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Time out per Max

31/05/2007

Naturalmente arriva in moto nel traffico di Roma, fa una curva a ginocchio aperto, scende, parcheggia alla meglio dalle parti di piazza Fiume, si toglie il casco e si mette un cappellino con la visiera e la reticella, perfetto per completare il ritratto del teenager da vecchio. Vecchio, si fa per dire: Max Pezzali ha 39 anni, una storia di successi scoppiettanti alle spalle, dall’"Uomo ragno" in poi, quello ammazzato perché aveva fatto qualche sgarbo a certi industriali del caffè, come sapevano tutti i bambini prima di fare "oh". Ma la prossimità ai quaranta, con proverbi annessi sull’esistenza che comincia o ricomincia, ha prodotto un cambio effettivo di vita. Mica male, come metamorfosi. Immaginiamo un figlio della Padania più genuina, abituato a considerare la sua Pavia una propaggine estrema di un’idea chiamata Milano, locali e gang di amici, che decide di venirsene a Roma. Per amore, naturalmente, e per matrimonio quasi classico. Lei si chiama Martina e non ha trent’anni, anche se ha una figlia di dieci venuta da una unione precedente. Tutto molto classico-moderno, perfettamente in linea con i tempi. Mettono su casa da qualche parte fra la Camilluccia e la Tomba di Nerone. Con il matrimonio, lui è ingrassato 20 chili, poi li ha persi, si è rimesso in forma, ha contemplato il successo del suo ultimo "greatest hits", l’album doppio intitolato "Tutto Max" (300 mila copie, in questi chiari di luna discografica di downloading frenetico, dieci settimane in cima alla classifica); e finalmente si è messo a lavorare per il prossimo capitolo della sua autobiografia in musica, un disco che si chiama "Time Out" e che comprende 11 canzoni inedite (prodotto da Claudio Cecchetto e Pier Paolo Peroni, e realizzato da uno dei migliori produttori italiani, Michele Canova Iorfida, che ha lavorato con Tiziano Ferro, Eros Ramazzotti, Jovanotti, Celentano). Ogni volta il disco nuovo è un problema, perché ovviamente il pubblico vorrebbe sempre il già sentito, "Come mai" e tutte quelle canzoni melodiche che fanno piangere i teenager giovani e anziani. Così per costruirlo ci ha messo quasi un anno, da febbraio a dicembre dell’anno scorso, lavorando come è abituato, da solo, con una tastiera elettronica e il computer che contiene tutto l’archivio musicale e tecnologico di un post-giovane completamente "paperless", che vive fra Google, YouTube e software fichissimi. E come si trova un lombardo a Roma, senza i suoi vecchi amici Cisco e Apo, immortalati nelle canzoni da bar, e lontano dal negozio di fiori dei genitori, di cui si sa che è cliente affezionato il pavese più noto dopo di lui, Carlo Rossella? «Giornate tranquille: mi sono accorto che Roma è una metropoli, ma anche una città di città, che ogni periferia ha il suo centro. E poi ogni tanto vado a Milano da Cecchetto, approfitto del fatto che sono diventato socio di una concessionaria dell’Harley Davidson e vado a vedere». Nella capitale, serate e weekend con un piccolo gruppo di amici accomunati dalla passione per le moto. Che cosa vuol dire "Time Out"? «Una sospensione, una pausa. Ho imparato qualcosa della vita quando ho visto i surfisti in California. I dilettanti inseguono qualsiasi onda, perché vivono nell’ansia di perdere quella perfetta. Invece i più scafati aspettano in souplesse, senza frenesia. L’onda arriverà. Ecco, le nuove canzoni rispecchiano questa sensazione. Viaggi e attese, messe a fuoco di sensazioni che si isolano dal flusso del tempo…». A guardarsi indietro, Pezzali ha una storia che può sembrare pazzesca. Il successo con il suo amico Mauro Repetto, che poi se ne va a cercare altra fortuna in America, e finisce a organizzare eventi a Eurodisney. Un ciclo di dischi di spaventosa fortuna, con quelle canzoni che è divertente cantare a squarciagola mentre l’auto fila sull’autostrada. La vita in simbiosi con la factory di Cecchetto, insieme con Jovanotti e tutta la gang, Paola e Chiara, la brava Syria che ha cantato qualche volta in un suo disco. Un’aggiustata per raddrizzare gli incisivi un’operazioncina agli occhi per sistemare la miopia (già, «occhiali grandi, un po’ troppo spessi per piacere a una così…», come dice "Lo strano percorso", nell’album precedente). Un sondaggio Abacus secondo cui nel 2000 aveva un indice di popolarità in Italia, nel pubblico fra i 14 e i 24 anni, del 97,8 per cento, superiore di qualche decimale a Madonna e al suo amico Fiorello. E poi la liquidazione della sigla "883", con cui aveva spopolato e dietro la quale si era parzialmente nascosto. La consacrazione con Adriano Celentano, a "Francamente me ne infischio", cantando il vecchio hit del Molleggiato "Ciao ragazzi" dopo equivoci e polemiche per una frase venuta male, che voleva essere un apprezzamento e sembrava una liquidazione («Messa male, la Rai, se deve ricorrere a Celentano»). E poi, tanto per dare l’idea di uno normale che sembrerebbe fatto invece per la vita estrema, perfino una serie di leggende metropolitane, secondo cui era moribondo o morto, prima per una leucemia, poi per un tumore al cervello, e infine schiantato in autostrada in moto, con la moglie: «Andavo a trovare qualcuno all’ospedale, mi vedevano in un reparto e mi ritrovavo con la diagnosi già fatta, e cominciava a telefonare gente che si stupiva perché ero vivo». Sono almeno dieci anni che Pezzali sta lavorando intorno al proprio lunghissimo rito di passaggio dall’adolescenza alla maturità. Si impegna, ci prova, lui che era stato prima uno da discoteca, e poi una specie di fratello maggiore di quelli da discoteca, comunque il miglior narratore della vita nella provincia profonda, con le chiacchiere davanti al bar chiuso come in "La dura legge del gol" e i raid tra il venerdì e la domenica, con la sua capacità di isolare particolari del look femminile, il body che tiene su "un seno che non si è mai visto prima", le dita con le unghie smaltate che cercano l’accendino in un’istantanea quasi fetish. A un certo punto si era anche preso un maestro di canto, Michele Fischietti, che gli faceva fare vocalizzi per aumentare l’estensione della sua voce di baritono fino al sol (secondo "Sorrisi e Canzoni", Fischietti è «l’unico rappresentante italiano del metodo Seth Riggs, il maestro americano che tra i suoi allievi annovera Michael Jackson, Stewie Wonder, Anita Baker, Natalie Cole e Michael Bolton»): ma poi si è stufato, anche se effettivamente la voce è diventata più sicura, morbida. E quindi adesso, un pochino più crepuscolare, attento alla musica, con gusti non proprio generalisti («"Time out" è il mio disco più country»). Piacerà al suo pubblico, adolescenti, ex adolescenti e innamorati delle sue melodie così cantabili? Alla lunga fra le canzoni di Pezzali ce ne sono sempre almeno un paio che risultano irresistibili, e quindi anche il tour che comincia dopo l’estate sarà un altro successo senza scampo. Lui è rilassato, muove i suoi occhi a palla raccontando avventure internettiane, e come tutti i cantanti e i cantautori italiani ascolta musica sconosciuta ai più: un cantante che si chiama Jack Johnson, un po’ folk, un po’ hawaiano, oppure «quello che ascoltano tutti», come l’irlandese Damien Rice. E poi i R.E.M., Johnny Cash, Ry Cooder, «l’ultima ondata di teenpunk», tanto per tornare alle origini e dalle ragazzate di "Non me la menare". Perché l’importante è rinviare il tempo delle decisioni, di un disco, di un anno ancora, di una tournée. Quando poi ci si potrà dedicare, avendone voglia, a diventare davvero grande, un po’ meno idolo, un po’ più performer, compiendo il destino naturale di uno che ha cominciato quasi per gioco e si ritrova ad affrontare le cose molto sul serio. n

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